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Alzheimer: la Fda non approva il nuovo farmaco e chiede parere indipendente

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Dopo le polemiche passate, con un farmaco approvato e una lunga lista di esperti esterni a criticarne l’efficacia e la sicurezza, stavolta la Fda americana prende tempo e ritarda il parere su un altro farmaco per l’Alzheimer, il donanemab di Eli Lilly, la cui approvazione era prevista per questo mese. L’agenzia ha invece deciso di convocare un panel di esperti indipendenti per valutare efficacia e sicurezza del farmaco.

La decisione ha sorpreso molti esperti che invece si aspettavano l’arrivo in tempi rapidi del farmaco sul mercato, attorno al primo quadrimestre di quest’anno. “Non ce lo aspettavamo”, ha commentato Anne White, videpresidente esecutivo di Lilly e presidente della divisione Neuroscienze. E questo perché – ha continuato – mentre la Fda spesso convoca comitati indipendenti quando ha domande sui farmaci, è inusuale che lo faccia “alla fine di un processo di revisione andando oltre alla data comunicataci”.

Da parte dell’agenzia nessun commento pubblico sulla decisione che presumibilmente farà slittare alla fine di quest’anno l’approvazione di donanemab. Decisione dovuta appunto ai precedenti che riguardano altre approvazioni per una malattia, l’Alzheimer, che non ha ad oggi una cura che possa ripristinare la memoria persa o il declino cognitivo. Per anni ci sono stati farmaci promettenti, poi rivelatisi inutili. Ma il donanemab, una infusione al mese, appartiene a una nuova classe di farmaci che gli esperti sperano potrebbe aiutare i pazienti a contrastare la proteina amiloide che forma placche nel cervello dei malati.

L’anno scorso la Fda ha approvato un altro farmaco nella classe, il Leqembi, di Eisai e Biogen. Una infusione ogni 15 giorni, Leqembi può rallentare in modo modesto il declino cognitivo nei primi stadi della malattia.

I nuovi farmaci sono considerati solo un primo passo perché non possono rallentare il declino cognitivo a sufficienza per essere un risultato visibile a pazienti e famiglie, dicono gli esperti. Inoltre i farmaci pongono significativi rischi per la salute, compresi i temuti gonfiori e sanguinamenti cerebrali. Il primo farmaco approvato nella classe degli anti-amiloidi, l’Aduhelm, fu contestato per le deboli evidenze tanto che la Biogen, l’azienda che lo produceva, l’ha abbandonato.

Il donanemab dovrebbe avere facilmente l’approvazione perché i dati mostrano che può rallentare sebbene in modo modesto il declino cognitivo in persone con sintomi blandi, e con profili di rischio simili a Leqembi. Ma i due farmaci non sono paragonabili direttamente perché lo studio su donanemab ha incluso alcuni pazienti con problemi medici più complessi. Lo studio su donanemab ha due aspetti inusuali che la Fda ha chiesto di valutare ad esperti indipendenti, ha detto John Sims, direttore medico di Lilly e a capo degli studi sul farmaco. Una caratteristica è interessante per i pazienti: i partecipanti hanno smesso di ricevere l’infusione di donanemab dopo che le placche amiloidi erano regredite fino a un certo livello, cosa accaduta dopo circa un anno per metà dei partecipanti e il loro declino cognitivo è rallentato. I medici di Lilly stimano che servano circa quattro anni perché i livelli di amiloide tornino di nuovo oltre la soglia. Secondo Sims la Fda vuole capirne di più proprio su questo punto per valutare se altri farmaci anti-amiloide possano essere sospesi, a un certo punto.

L’altra caratteristica non usuale dello studio coinvolge un’altra proteina, la tau, che forma concentrazioni nel cervello dopo gli accumuli di amiloide. Livelli più elevati di tau sono associati più strettamente con problemi di memoria e di pensiero. Lo studio su donanemab ha diviso i partecipanti in gruppi con alti livelli di tau e con livelli intermedi. Queste ultime persone avevano un declino cognitivo più rallentato, cosa che supporta la teoria che trattare i pazienti il prima possibile dà migliori chance di rallentamento dei sintomi.



www.repubblica.it 2024-03-08 16:43:18

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