Tutte le notizie qui
Backaout
Backaout

La Consulta e il pressing nelle Regioni: ecco perché la legge sul fine vita è indispe…

26

- Advertisement -


Da una parte la Consulta richiamata a pronunciarsi a quattro anni dalla storica sentenza che ha aperto in Italia al suicidio assistito; dall’altra un drappello di Regioni che anche dopo lo stop in Veneto proveranno a legiferare. In mezzo ci sono i pazienti, molto spesso malati terminali, costretti ad appellarsi ai tribunali per avere un risposta dalle Asl che in assenza di regole precise non sanno come comportarsi. E così il fine vita in Italia resta ancora un tortuoso percorso a ostacoli difficili da aggirare con pochissimi casi arrivati in fondo.

Il vuoto legislativo in materia

Il vulnus è sempre quello e cioè un vuoto legislativo diventato ormai una voragine dopo la sentenza 242 del 2019 della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità di una parte del Codice penale che condanna l’assistenza al suicidio medicalmente assistito. Nella passata legislatura si era quasi arrivati al traguardo ma il testo unificato, approvato dalla Camera dopo quasi 4 anni in Commissione Affari sociali, non ha fatto in tempo a ricevere il via libera del Senato. Pertanto, a normare la materia ancora oggi è la sentenza che assolse Marco Cappato dall’accusa di istigazione al suicidio per aver accompagnato in Svizzera Fabiano Antoniani, detto Dj Fabo.

Le regole attuali e la Consulta

In Italia l’eutanasia costituisce reato mentre è sancito dalla sentenza della Consulta il diritto al suicidio assistito, in cui è il paziente ad autosomministrarsi il farmaco letale e non un medico, quando ricorrono alcune condizioni: che il malato sia affetto da malattia irreversibile, che questa patologia sia fonte di intollerabili sofferenze, che il paziente sia capace di prendere decisioni libere e consapevoli. L’ultima condizione, la più problematica, è che il paziente sia dipendente da un trattamento di sostegno vitale: mentre all’inizio si intendeva con questo termine solo alimentazione, respirazione e idratazione, più tardi è stata riconosciuta dai tribunali anche la chemioterapia. Ora proprio per quest’ultimo requisito – la dipendenza cioè da un trattamento di sostegno vitale – la giudice delle indagini preliminari di Firenze Agnese Di Girolamo ha rinviato la questione di nuovo alla Consulta per decidere di fatto se questo requisito può essere discriminatorio perché potrebbe determinare una «irragionevole disparità di trattamento» tra «situazioni concrete sostanzialmente identiche». Nel mirino la differenza di disciplina quando ci sono sostegni vitali e quando non ci sono che potrebbe essere «irragionevole».

Il pressing a livello regionale

Se il percorso sul fine vita è già stato definito dalla sentenza del 2019 non altrettanto definite sono le tappe e gli adempimenti che il paziente che vuole ricorrere al suicidio assistito deve seguire. Nasce da qui il tentativo legislativo poi naufragato nei giorni scorsi della regione Veneto. Le norme, proposte dall’associazione Coscioni e bocciate dal consiglio regionale veneto per un solo voto prevedono in particolare tempi certi per il suicidio medicalmente assistito: non più di 27 giorni dalla presentazione della domanda all’esecuzione della prestazione, di cui i primi 20 per valutare i requisiti della persona. Inoltre, specifica il ruolo della Servizio sanitario e in particolare quello delle Asl. La Consulta non ha stabilito infatti un “diritto a prestazione” dell’assistenza al suicidio da parte delle strutture sanitarie pubbliche, alle quali ha invece attribuito in funzione di garanzia una attività di verifica della esistenza di queste condizioni, compresa una valutazione del comitato etico. Al momento sono almeno una decina le Regioni che, dopo aver depositato le firme, si apprestano a discutere la proposta di legge in aula. Dopo il Veneto ci sono la Lombardia che deciderà sull’ammissibilità entro il 12 febbraio, ma anche Piemonte, Emilia Romagna, Abruzzo e Friuli Venezia Giulia che hanno ritenuto che le norme sul fine vita rientrino nelle competenze regionali. Ci sono poi anche Sardegna, Basilicata e Lazio dove la proposta di legge è stata depositata tramite l’iniziativa dei consiglieri regionali o per iniziativa dei Comuni. Proposte analoghe sono state depositate in Puglia, Marche e Calabria.

La strada della legge nazionale

Prima del tentativo delle Regioni anche il Parlamento è arrivato vicino a legiferare con il disegno di legge sulla «morte volontaria medicalmente assistita» approvato nella scorsa legislatura dalla Camera nel marzo del 2022, ma non varato dal Senato per la fine anticipata dell’Esecutivo guidato da Mario Draghi. Se il Parlamento volesse dunque riprendere in mano questa materia per varare una legge non più rinviabile è da lì che potrebbe partire. Anche se Cappato il padre di questa battaglia è critico: «Molti ora nel Pd sostengono la proposta di legge del loro parlamentare Alfredo Bazoli, che realtà punta a restringere i diritti già esistenti. Invece di dibattere di epurazioni, ciò che come Associazione Luca Coscioni proponiamo al Partito democratico è di abbandonare la proposta Bazoli e di mobilitarsi per far approvare tempi e procedure certi nelle Regioni». «Tra l’altro, Il prossimo Consiglio regionale a decidere sarà quello dell’Emilia-Romagna: quale migliore occasione?» si chiede il coordinatore dell’associazione Luca Coscioni. Intanto sono oltre 186mila gli italiani che, in base alla legge sul biotestamento del 2017, hanno lasciato le proprie Disposizioni anticipate di trattamento sanitario, in previsione di una eventuale incapacità di autodeterminarsi.



www.ilsole24ore.com 2024-01-31 18:47:07

This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish. Accept Read More