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Tumore del pancreas, cos’è e come si cura

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È un tumore tre volte difficile. Difficile da diagnosticare, perché raro e “nascosto”. Difficile da operare (nei casi in cui è possibile asportarlo chirurgicamente, ossia più o meno il 25%). E difficile da trattare. Parliamo del cancro del pancreas, che colpisce circa 15 mila persone ogni anno (6.800 uomini e 8.000 donne, secondo le stime del 2023), e che in oltre la metà dei casi è scoperto già in fase avanzata. Per questi motivi il primo messaggio da passare, forse il più importante, è di indirizzare i pazienti ai centri di riferimento – le Pancreas Unit – qualora vi sia anche solo il sospetto di questo tumore.

Il tumore del pancreas

Il pancreas ha una posizione anatomica scomoda: si trova infatti tra lo stomaco e la colonna vertebrale, e ha una forma allungata in cui è possibile identificare tre parti: la “testa”, a stretto contatto con il duodeno, il “corpo” centrale e la “coda” sottile e che si protrae fino alla milza. Dal punto di vista funzionale è formato da due tipi di tessuto: quello esocrino che produce enzimi che contribuiscono alla digestione, e quello endocrino che produce ormoni, tra cui l’insulina e il glucagone che regolano il livello degli zuccheri nel sangue.

Esistono diversi tipi di tumore del pancreas: il più aggressivo è l’adenocarcinoma duttale, che è relativamente raro e di solito si sviluppa nella “testa”, a partire dai dotti che trasportano gli enzimi digestivi. L’età media di insorgenza è tra i 60 e i 70 anni. Sebbene il tumore del pancreas rappresenti oggi solo il 3% di tutti i tumori solidi diagnosticati, la sua incidenza è in crescita e si prevede che entro il 2030 diventerà la seconda causa di morte oncologica.

I sintomi e la diagnosi

“Per fare la diagnosi occorre una competenza specifica – spiega Michele Reni, Direttore del Programma Strategico di Coordinamento Clinico del Pancreas Center presso l’IRCCS Ospedale S. Raffaele di Milano – Il rischio di errori legato alla mancanza di una competenza specifica può essere alto e può complicare il quadro di una malattia che di per sé evolve velocemente”. Purtroppo i sintomi vaghi che possono manifestarsi all’inizio non aiutano: bruciore, dolore o pesantezza a livello dello stomaco o dolore dorsale, comuni a patologie di grandissima frequenza, come gastriti, ulcere e mal di schiena. Difficile focalizzare l’attenzione sul pancreas. Alcuni segnali, però, possono indurre il sospetto: “La steatorrea, cioè una forma di diarrea che è spesso all’origine di diverse sindromi da malassorbimento; una trombosi nelle vene di una gamba in assenza di un’altra spiegazione plausibile; o ancora un calo di peso non giustificato, un diabete che insorge improvvisamente in età adulta o un diabete già noto che peggiora improvvisamente. Queste sono tutte condizioni che devono allertare il medico”, dice l’esperto.

Come si cura

Come già anticipato, solo in circa un caso su 4 si può ricorrere alla chirurgia. Per tutti gli altri (20% scoperto in fase localmente avanzata e 50-60% in fase metastatica) il trattamento si basa soprattutto su chemioterapie, che possono oggi essere combinate in tre diversi regimi. I farmaci a disposizione sono ancora pochi, si contano sulle dita di una mano, ma una buona notizia c’è: l’Agenzia italiana del farmaco ha da poco approvato il primo farmaco per la seconda linea di trattamento della fase metastatica, l’irinotecano nanoliposomiale pegilato (Nal-IRI). Non è una terapia target ma, grazie alla nanotecnologia, riesce ad arrivare in modo mirato alle cellule tumorali. A fare da vettori sono le vescicole lipidiche (liposomi) che contengono il principio attivo (l’irinotecano) e che si accumulano in modo preferenziale nel tumore. Qui i macrofagi assorbono i liposomi, liberando l’irinotecano, che raggiunge così il nucleo delle cellule cancerose, bloccandone la replicazione. Questa innovazione è importante, perché il pancreas è circondato da tessuto connettivo molto denso (lo stroma) che ostacola il passaggio dei farmaci somministrati per la normale via sistemica.

L’efficacia della nuova terapia Nal-IRI è stata testata nello studio registrativo NAPOLI-1, dove ha dimostrato una riduzione del rischio di morte del 33% in combinazione con altri due farmaci già utilizzati (5-fluorouracile e leucovorin). Grazie a un programma di uso nominale, è stato possibile utilizzare il farmaco in Italia prima dell’approvazione (tra il 2016 e il 2018), e questo ha permesso di condurre uno studio Real World Evidence che ha coinvolto 11 centri oncologici su tutto il territorio nazionale. “Avere la disponibilità dei farmaci prima dell’approvazione consente di fare ricerca accademica e di occuparsi di quegli aspetti non indagati dalla company farmaceutiche”, spiega Sara Lonardi, Direttrice dell’Oncologia 3 presso l’Istituto Oncologico Veneto. Sono stati raccolti i dati di circa 100 casi: la popolazione è risultata un po’ più anziana e un po’ più complicata rispetto a quella dello studio clinico, ma è stata osservata una riduzione della malattia nel 12% dei pazienti trattati con Nal-IRI: “Un dato sicuramente non trascurabile per questo tipo di neoplasia – riprende l’oncologa -. Grazie a questo trattamento siamo in grado di controllare la malattia, arrestandone la progressione per un periodo nel 41% dei pazienti. Può sembrare poco, ma nel panorama di quello che abbiamo oggi è una piccola rivoluzione e una grande iniezione di speranza: avere a disposizione un nuovo farmaco, oltre a dare un beneficio concreto, significa poter dire che finalmente abbiamo a disposizione una novità per il trattamento per questo tipo di tumore e che, per la maggior parte dei pazienti con un tumore del pancreas avanzato, oggi è possibile allungare la sopravvivenza mantenendo la qualità di vita. E magari, in questo tempo, potrebbero arrivare nuove terapie. Lo abbiamo già visto succedere in oncologia. Non solo: ritardare la progressione di malattia vuol dire anche ritardare l’insorgenza di nuovi sintomi, in particolar modo il dolore e il calo di peso”. Lo scorso febbraio, negli Usa, Nal-IRI è stato approvato come prima linea di trattamento.

I tumori del pancreas Brca-mutati

Un discorso a parte va fatto per i tumori del pancreas legati alle mutazioni dei geni Brca, che rappresentano circa l’8% dei casi nella popolazione italiana. “Brca 1 e Brca2 sono due geni che predispongono allo sviluppo di tumori quando sono difettosi, nel caso del pancreas parliamo soprattutto delle mutazioni di Brca 2”, sottolinea Reni. In generale, i farmaci mirati della classe Parp-inibitori, come olaparib, si sono rivelati efficaci per i tumori Brca-mutati, ma non sono stati approvati in Italia per l’adenocarcinoma del pancreas (sebbene lo siano per i tumori dell’ovaio, del seno e della prostata): “Con la mancata rimborsabilità di olaparib – prosegue Reni – abbiamo perso l’occasione di fare cultura e arrivare in modo capillare agli oncologi e ai medici di medicina generale per sottolineare l’importanza del test genetico. Che non è tanto legata all’uso del farmaco, ma alla possibilità di individuare le famiglie in cui le mutazioni sono presenti e, quindi, di salvare vite grazie allo screening. Fare il test genetico sul paziente è un’indagine complessa dal punto di vista tecnologico, perché i geni Brca sono grandi. Una volta però che si individua una mutazione, nei familiari non è più necessario testare tutto il gene: basta ricercare quella specifica mutazione”.

Conoscere lo stato mutazionale è importante anche per altri motivi: i pazienti che presentano le mutazioni Brca sono di norma più sensibili alle chemioterapie a base di platino e hanno una prognosi migliore se trattati tempestivamente. Ma oggi non si prescrive il test genetico perché, ribadiscono gli esperti, non si riesce a separare questi aspetti dall’ impossibilità di prescrivere il farmaco mirato.

I fattori di rischio

I fattori di rischio del tumore del pancreas sono correlati sia a stili di vita sia a patologie concomitanti. Tra i primi troviamo il fumo (74% di rischio in più rispetto ai non fumatori), l’elevato consumo di alcolici (che è anche la principale causa della pancreatite cronica, essa stessa fattore di rischio indipendente) e l’obesità (con un aumento del rischio del 10% per ogni 5 unità dell’indice di massa corporea). E’ stata inoltre trovata una correlazione tra il consumo di carni rosse, carni lavorate, alimenti e bevande contenenti fruttosio ed acidi grassi saturi. Un ulteriore fattore è il diabete di tipo 1 o 2: chi ne è affetto ha una probabilità due volte maggiore di sviluppare il tumore del pancreas rispetto alle persone non diabetiche.

 

Il registro per la familiarità

Vi è poi la storia familiare: il tumore del pancreas viene definito familiare (fino al 10% dei casi) quando la diagnosi interessa due o più parenti di primo grado. I pazienti con familiarità (che è cosa diversa dalla ereditarietà) presentano un rischio 9 volte più alto della popolazione senza familiarità, e tale rischio aumenta di 32 volte se si arriva a tre o più parenti di primo grado. Per monitorare queste famiglie, in Italia esiste dal 2008 il Registro Tumore Familiare del Pancreas promosso dall’Associazione Italiana Studio Pancreas (Aisp): le persone che presentano specifiche caratteristiche di familiarità (elencate sul sito del registro) possono entrare nello studio e nel programma di sorveglianza ed essere sottoposti ad alcuni esami, tra cui una risonanza magnetica annuale in centri specializzati.

Le Pancreas Unit

Ma cosa si intende per centri specializzati, o Pancreas Unit? Unità multidisciplinari che integrano oncologia, chirurgia, radiologia, eco-endoscopia, gastroenterologia, genetica, patologia, radioterapia, nutrizione, psiconcologia, medicina palliativa e scienze infermieristiche. E che hanno tecnologie adeguate, personale competente ed elevati volumi di trattamento. Purtroppo non sono molte, né sono ben distribuite sul territorio italiano. Va detto che la Lombardia è ad oggi l’unica Regione ad avere individuato formalmente la rete delle sue Pancreas Unit, suddivise in centri Hub e centri Spoke. Da aprile, inoltre, gli interventi potranno essere eseguiti solo negli 11 Hub riconosciuti in grado di assicurare l’expertise necessaria. La cosa importante – ribadiscono gli esperti – è far crescere la consapevolezza che questa malattia esiste, che in presenza di sintomi deve essere sospettata e che bisogna riferire il paziente alle Pancreas Unit”.



www.repubblica.it 2024-04-09 12:27:24

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