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Tumore delle vie biliari, l’immunoterapia è efficace a lungo

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Non uno ma un gruppo di tumori che colpiscono alcune parti dell’apparato gastrointestinale. Il tumore delle vie biliari è una patologia rara e aggressiva: i suoi sintomi non sono evidenti e quindi la maggioranza delle 210mila nuove diagnosi che ogni anno si registrano a livello mondiale avviene quando la malattia è già in stadio avanzato, con poche opzioni terapeutiche. “Il tumore delle vie biliari è una patologia rara ma in costante crescita, con circa 5.400 nuovi casi stimati ogni anno in Italia – spiega Carmine Pinto, Direttore dell’Oncologia Medica del Comprehensive Cancer Centre, AUSL-IRCCS di Reggio Emilia -. Non esistono test di screening o esami diagnostici di routine in grado di identificare la malattia in fase iniziale, quando è ancora possibile un’asportazione chirurgica. Le difficoltà legate alla mancanza di sintomi specifici conducono troppo spesso a diagnosi in fase avanzata”. Un tumore in cui l’aggiunta dell’immunoterapia alla chemio mostra però di poter dare dei benefici significativi, come testimoniano i dati presentati nel corso della Cholangiocarcinoma Foundation Conference 2024 a Salt Lake City, Utah. 

Il tumore

A essere colpite possono essere le cellule delle vie biliari – e si parla quindi di colangiocarcinoma – della cistifellea o dell’ampolla di Vater, la sede in cui i dotti biliare e pancreatico si collegano all’intestino tenue. Solo circa il 30% dei pazienti è candidato alla chirurgia. Per i pazienti con malattia avanzata, che non possono essere operati o con metastasi, è oggi possibile combinare l’immunoterapico durvalumab alla chemioterapia con cisplatino e gemcitabina, che è il regime utilizzato da oltre un decennio. “I dati aggiornati dello studio TOPAZ-1, con un più lungo follow-up, mostrano a 3 anni una riduzione del 26% del rischio di morte per i pazienti con tumore delle vie biliari in stadio avanzato trattati con durvalumab e chemioterapia rispetto alla sola chemioterapia, con il doppio dei pazienti viventi”, sottolinea Pinto. “Un progresso particolarmente significativo in un setting di patologia neoplastica in cui la prognosi è storicamente sfavorevole. Questi risultati rafforzano il beneficio a lungo termine della combinazione comprendente l’immunoterapia come standard di cura in prima linea per i pazienti con malattia avanzata. Dopo oltre un decennio senza reali progressi, anche per i pazienti con tumori delle vie biliari abbiamo un miglioramento in termini di possibilità di sopravvivenza, un risultato molto importante mai ottenuto finora”.

Risultati a lungo termine 

 

I dati presentati negli Usa rappresentano il più esteso follow-up di sopravvivenza mai riportato in uno studio globale randomizzato di Fase III in questo setting. La sopravvivenza globale mediana era di 12,9 mesi con durvalumab più chemioterapia rispetto a 11,3 mesi con la sola chemioterapia. Più del doppio dei pazienti con il regime a base di durvalumab era vivo a tre anni rispetto alla sola chemioterapia (14,6% rispetto a 6,9%). “Il miglioramento portato da durvalumab nei dati di sopravvivenza a tre anni in pazienti con tumore delle vie biliari avanzato è una buona notizia – afferma Paolo Leonardi, Presidente Associazione Pazienti Italiani Colangiocarcinoma (APIC) – e un risultato che accresce la speranza nella ricerca delle cure per i pazienti con questi tumori rari e difficili da trattare. Il percorso che porta alla diagnosi è troppo spesso tardivo, rendendo ancor più drammatica la vita delle persone che la ricevono. Due cose ci sembrano fondamentali: che si diffonda la conoscenza della malattia, così che si arrivi a sospettarla prima, e che chi ha una diagnosi di colangiocarcinoma sia indirizzato precocemente a centri di riferimento, dove è possibile una presa in carico completa da parte di un team multidisciplinare dedicato, in grado di definire al meglio il percorso diagnostico e terapeutico”.



www.repubblica.it 2024-04-23 10:38:56

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