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I nuovi farmaci game changer contro l’obesità

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La lotta all’obesità si prepara ad un’autentica rivoluzione. Per decenni, infatti, le opzioni farmacologiche per la perdita di peso sono state pochissime, e di efficacia limitata. Mentre ora una nuova categoria di farmaci promette di cambiare radicalmente le carte in tavola: sono gli analoghi di Glp-1, molecole come semaglutide, liraglutide o il nuovo tirzepatide, capaci di indurre un’importante perdita di peso in tempi relativamente brevi e di produrre marcati benefici in ambito cardiovascolare e metabolico, a fronte di effetti collaterali relativamente contenuti. Gli esperti che si occupano di obesità li considerano autentici game changer: i primi farmaci che possono aiutare realmente a tenere sotto controllo il peso, quando gli interventi sugli stili di vita non si rivelano sufficienti. Le molecole approvate, o in fase di approvazione, sono già tre. Ma presto dovrebbero aumentare drasticamente, visto che la pipeline è lunga e sono molte quelle già arrivate in fase di sperimentazione clinica. Vediamo meglio di cosa si tratta.

Analoghi di Glp-1

I nuovi farmaci nascono come terapie per il diabete di tipo 2. Sono analoghi di un ormone conosciuto come glucagon-like peptide 1, o Glp-1, capaci di attivare gli stessi recettori attivati dalla controparte naturale. Glp-1 è un ormone prodotto dall’intestino dopo il pasto, che stimola la produzione di insulina e inibisce quella di glucagone. In questo modo, mimandone gli effetti, gli analoghi di Glp-1 sono in grado di ridurre la glicemia, con molti meno effetti collaterali rispetto ai farmaci antidiabetici tradizionali. Hanno però anche un altro effetto secondario, non meno interessante: aiutano a perdere peso, senza troppo sforzo. Ed è per questo che hanno iniziato a essere sperimentati anche nel campo dell’obesità.

“L’effetto sul sulla perdita di peso è mediato dall’azione che questi farmaci hanno sul sistema nervoso centrale, e in particolare sui neuroni che regolano il nostro senso di fame, il senso di sazietà e il nostro desiderio di cibo”, spiega a Salute Luca Busetto, Professore di Medicina Interna dell’Università di Padova e Vice Presidente della European Association for the Study of Obesity. “Quindi si tratta di farmaci che sostanzialmente agiscono riducendo la spinta a mangiare, e aumentando il senso di sazietà”.

Quanto sono efficaci?

Attualmente, i farmaci sul mercato sono 3: liraglutide, semaglutide, e il più recente tirzepatide. Sono tutti autorizzati per indurre la perdita di peso in pazienti obesi dall’Ema (l’agenzia del farmaco europea), ma in attesa di recepire le direttive dell’agenzia, per ora nel nostro paese è disponibile con questa indicazione solo liraglutide. “È un farmaco giornaliero di prima generazione, ma ha già dati di efficacia molto incoraggianti – sottolinea Busetto – gli studi randomizzati e controllati fatti prima delle emissioni in commercio parlano di un calo di peso medio che si aggira attorno all’8-10% del peso iniziale. Guardando alla seconda generazione, semaglutide e ancora di più tirzepatide, l’efficacia è persino superiore: per il primo attorno al 16% del peso iniziale, mentre con il secondo si arriverebbe a superare il 20-22%”.

Si parla ovviamente di calo ponderale medio: qualche paziente può dimagrire di meno, qualcuno di più. Ma si tratta in ogni caso di numeri che – assicura Busetto – non erano mai stati visti in precedenza con nessun farmaco dimagrante. Il follow-up nei trial è solitamente di un anno, ma iniziano ad arrivare i dati di efficacia anche a due e quattro anni. E sembrano confermare che i risultati possono essere mantenuti anche a lungo termine. A patto però di continuare ad assumere regolarmente i farmaci.

Una terapia a lungo termine

La letteratura scientifica in questo senso è chiara. Gli agonisti di Glp-1 sono farmaci efficaci, ma per la maggior parte dei pazienti, sospendere la terapia significa tornare a recuperare rapidamente i chili persi. “Dal mio punto di vista è un fenomeno del tutto atteso, perché l’obesità è una malattia cronica, e quindi anche il trattamento deve essere cronico”, ragiona Busetto. “Se io sospendo un farmaco anti-ipertensivo, la pressione arteriosa del paziente torna a salire. Se io sospendo un farmaco ipocolesterolemizzante, mi aspetto che il colesterolo risalga. Lo stesso accade con i farmaci anti-obesità, che sono terapie pensate per trattamenti a lungo termine. Dobbiamouscire dal concetto che ottenere il dimagrimento sia la soluzione del problema dell’obesità: il paziente può dimagrire in molti modi diversi, anche con interventi di tipo nutrizionale, ma se la terapia non è mantenuta nel tempo, qualunque essa sia, si avrà un recupero di peso”.

Gli effetti collaterali più comuni di questi farmaci colpiscono a livello gastrointestinale. E seppur frequenti, possono essere gestiti modulando la terapia, e tendono ad attenuarsi con il passare del tempo. Per alcune persone possono risultare eccessivi, ma per chi riesce ad iniziare la terapia – la maggior parte dei pazienti – non rappresentano un problema a lungo termine. “Probabilmente i pazienti più adatti a questi farmaci sono persone con un’obesità da moderata a severa, e che hanno complicanze metaboliche e cardiovascolari che fanno sì che perdendo 10-15 chili ottengano benefici clinici importanti”, sottolinea Busetto. “Nei pazienti con obesità estremamente grave non abbiamo ancora molti dati, ma è probabile che il calo di peso che possono produrre questi farmaci non sia sufficiente, e che rimanga quindi necessario consigliare la terapia chirurgica, che può però senz’altro essere affiancata anche da una terapia farmacologica, sia prima che dopo l’intervento”.

Una pipeline ricca di novità

Come dicevamo, i farmaci attualmente approvati (o in fase di approvazione) sono tre. Ma il panorama è destinato ad arricchirsi velocemente nei prossimi anni, perché sono molte le molecole in fase avanzata di sperimentazione clinica. In alcuni casi, si tratta di combinazioni di più molecole, che mimano l’effetto di più ormoni per ottenere un’efficacia maggiore. “Un esempio è la combinazione tra semaglutide e cagrilintide, che è un analogo dell’amilina, un altro ormone che regola il comportamento alimentare”, spiega Busetto. “Ci sono poi triplo-agonisti, come il retatrutide, che è un farmaco agonista di Glp-1, Gip (o peptide inibitorio gastrico) e glucagone, e farmaci dual agonist che vanno ad agire su Glp-1 e glucagone, in particolare survodutide è quello di più avanzata fase di sviluppo”.

Oltre a nuovi bersagli, sono attesi anche farmaci con differente meccanismo di azione. Orforglipron ad esempio è un analogo non peptidico di Glp-1 in fase di sviluppo avanzata, che grazie a questa diversa formulazione è in grado di sopravvivere facilmente al passaggio gastrico, e può essere somministrato con buona efficacia per via orale. Bimagrumab invece è un anticorpo monoclonale, con un’azione dimagrante meno spiccata degli analoghi di Glp-1 ma un’attività di protezione della massa muscolare che lo rende interessante come farmaco che potrebbe migliorare la qualità della perdita di peso, preservando la massa magra.

La ricerca, insomma, è vitale e ricca di novità che vedranno la luce già nei prossimi anni. “Alcune di queste molecole si riveleranno più efficaci sul calo di peso, altre avranno meno effetti collaterali, altre ancora, magari, saranno più efficaci per determinati tipi di pazienti”, conclude Busetto. “Con più farmaci a disposizione aumenteranno le nostre capacità di personalizzare la terapia e di trovare per ciascuno il farmaco più adatto, cosa che rappresenterà un ulteriore beneficio per i pazienti”.



www.repubblica.it 2024-05-10 08:06:24

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