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Talco, lavande e tumore ovarico: un nuovo studio sulla possibile associazione

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Di recente è tornata a occupare le pagine dei giornali la possibile relazione tra l’utilizzo di talco nella zona genitale e l’aumento di rischio di tumori ovarici. Il (grosso) motivo sono i 6,5 miliardi di dollari che la multinazionale farmaceutica Johnson & Johnson (J&J) ha proposto come soluzione complessiva alle numerosissime cause legali intentate contro l’azienda, accusata di essere stata a conoscenza e di aver cercato di insabbiare la contaminazione del proprio talco con l’asbesto – noto agente cancerogeno. Per la newsletter di Salute Seno, oggi vi parleremo delle evidenze scientifiche in merito e di come un nuovo articolo pubblicato dal Journal of Clinical Oncology si inserisca nel dibattito ancora aperto nella comunità di esperti.

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Riassunto delle puntate precedenti

Di studi sugli effetti che certi prodotti per l’igiene intima possono avere sulla salute dei consumatori ne sono stati fatti, soprattutto da quando, circa una decina di anni fa (la prima causa legale contro J&J risale al 2016), fu sollevata l’accusa che l’applicazione di polvere di talco nella zona inguinale e genitale potesse essere collegata all’insorgenza di tumori ovarici.

Va detto che i risultati ottenuti dai diversi studi caso-controllo (cioè quelli fatti per capire quali fattori accomunano le persone malate e le differenziano da coloro che non hanno sviluppato la malattia) e di coorte (ossia quelli che seguono nel tempo gruppi di persone sane allo scopo di identificare eventuali differenze tra chi si ammalerà e chi no) sono stati spesso contraddittori. Oggi la Iarc (International agency for research on cancer) considera come ‘sicuramente cancerogena’ la polvere di talco contaminata da amianto (una possibilità attualmente remota), mentre annovera la polvere di talco “pura” tra le sostanze non cancerogene, seppur con una postilla: se applicata nelle zone inguinali e genitali è considerata un ‘possibile cancerogeno’ per i tumori ovarici.

Cosa confonde i dati

I motivi di tanta incertezza sono noti e vanno dalla qualità degli studi ai cosiddetti bias (un termine che potremmo tradurre come pregiudizi o vizi) insiti nel disegno di un progetto di ricerca e nella raccolta dei dati. Per esempio, le informazioni che sono raccolte con questionari e interviste a posteriori, quando le persone coinvolte rispondono sulla base dei propri ricordi, non sono del tutto affidabili perché la memoria è labile e può essere soggetta a influenze esterne, come il modo in cui le domande vengono poste e situazioni contingenti. L’allerta suscitata dagli articoli sull’associazione tra talco e tumori ovarici, in questo contesto, potrebbe per esempio giocare un ruolo nelle risposte fornite dalle pazienti, portando a una sovrastima del fenomeno rispetto a quanto riferito dal gruppo di controllo meno sensibile al tema.

Il nuovo studio

Consapevoli del dibattito all’interno della comunità scientifica, Katie M. O’Brien e colleghi hanno deciso di intraprendere un nuovo studio per indagare la possibile relazione tra l’utilizzo di prodotti per l’igiene intima femminile, non solo talco ma anche lavande vaginali che possono contenere interferenti endocrini o sostanze irritanti come ftalati, bisfenoli, parabeni, e il rischio di tumori ormono-sensibili: seno, utero e ovaie. E lo hanno fatto applicando metodi per limitare il più possibile l’impatto dei bias.

Un’associazione del tumore ovarico con talco e lavande vaginali

I ricercatori hanno attinto i dati sull’uso di talco a livello genitale e di lavande vaginali dalle informazioni raccolte, nel 2003-2009 e nel 2017-2019, nel Sister Study, un progetto di ricerca che ha coinvolto oltre 50 mila donne che hanno avuto una sorella con un cancro al seno. Ebbene: i risultati della loro analisi, pubblicati sul Journal of Clinical Oncology, vanno nella direzione tracciata dai precedenti studi caso-controllo, confermando l’associazione (anche se attenuata) tra l’utilizzo del talco e delle lavande vaginali e l’aumento di rischio di tumori ovarici, in particolare nella fascia di popolazione tra i 20 e i 30 anni. Non emerge, invece, l’associazione con il cancro al seno e all’utero. Proprio l’assenza dell’associazione tra l’uso di questi prodotti per l’igiene intima e il rischio di tumore uterino, secondo gli autori, avvalora il dato per i tumori ovarici: in quanto tumore ginecologico, il tumore uterino dovrebbe risentire degli stessi bias di quello ovarico.

Le conclusioni

Anche questo ultimo studio ha, ovviamente, dei limiti, dovuti alla bassa frequenza dei tumori ovarici nella popolazione (si parla del 3% di tutti i tumori femminili). La rarità dei tumori ovarici rende ulteriormente difficile identificare un diverso grado di associazione tra i diversi istotipi tumorali (sierosi e non sierosi) e fare ipotesi più dettagliate sui possibili meccanismi biologici alla base. Tolta la contaminazione da asbesto, infatti, rimane una generica possibilità che la presenza di sostanze irritanti possa provocare infiammazione dei tessuti innescandone la degenerazione verso il tumore.

Nell’editoriale che accompagna la ricerca si sottolinea che, data la rarità dei tumori ovarici, l’impatto di simili prodotti per l’igiene intima femminile sia comunque molto basso. Tuttavia è doveroso informare dei potenziali rischi la popolazione interessata e, anche se l’utilizzo di questi prodotti sta gradualmente scemando, si suggerisce agli operatori sanitari e ai ginecologi di affrontare l’argomento con le proprie pazienti.



www.repubblica.it 2024-05-17 09:55:48

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