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Glioblastoma, un dispositivo a ultrasuoni per far arrivare i farmaci al cervello

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L’8 giugno cade la Giornata di sensibilizzazione sui tumori cerebrali, che in Italia fanno registrare ogni anno, complessivamente, circa 6 mila nuove diagnosi. Tra questi, il glioblastoma rappresenta circa il 14% dei tumori primitivi del sistema nervoso centrale, con una incidenza di 3-5 casi ogni 100mila abitanti, che arriva a 12-15 casi ogni 100mila dopo i 55 anni. Parliamo di una malattia dalla quale si guarisce raramente, e una delle ragioni dell’aggressività del glioblastoma è l’impenetrabilità della barriera ematoencefalica: quella struttura che impedisce il passaggio di sostanze potenzialmente pericolose dai vasi sanguigni al tessuto cerebrale, ma purtroppo anche il passaggio dei farmaci diretti contro un tumore. C’è però una buona notizia: un gruppo di scienziati coordinati dalla Northwestern Medicine University di Chicago hanno pubblicato uno studio su Nature Communications che potrebbe portare a un nuovo approccio di cura.

Un’apertura temporanea nella barriera ematoencefalica

In particolare, impiantando un device a ultrasuoni all’interno del cranio di 4 pazienti con malattia avanzata che non rispondeva ad altre cure, i ricercatori sono riusciti ad aprire per circa un’ora la barriera ematoencefalica e durante questa apertura temporanea sono riusciti a trasferire una dose del farmaco doxorubicina più immunoterapia all’interno del cervello. Gli scienziati hanno anche dimostrato per la prima volta che una dose piccola di doxorubicina, inferiore a quella utilizzata per la chemioterapia tradizionale, se somministrata in combinazione con l’immunoterapia aumenta la capacità del sistema immunitario di riconoscere le cellule di glioblastoma e di attaccarle con maggiore efficacia.

Il primo studio sulla somministrazione diretta di immunoterapia

“È il primo studio condotto sugli esseri umani in cui un dispositivo a ultrasuoni è stato utilizzato per somministrare farmaci e anticorpi che agiscono sul sistema immunitario in modo che possa riconoscere e attaccare il glioblastoma – ha detto Adam Sonabend, professore associato di Neurochirurgia alla Feinberg School of Medicine della Northwestern University, neurochirurgo della Northwestern Medicine e autore principale della pubblicazione. I risultati di di Sonabend e dei suoi collaboratori rappresentano la base per un nuovo studio clinico appena lanciato alla Northwestern University che utilizza gli ultrasuoni per somministrare l’immunoterapia per il glioblastoma. Verranno inizialmente arruolati 10 partecipanti per determinare la sicurezza del trattamento, e poi altri 15 per valutare se il trattamento può effettivamente prolungare la sopravvivenza.

 

Anche in Italia si testa il dispositivo, con le chemioterapie

In effetti ci sono segnali di efficacia che fanno sperare, commenta a Oncoline Giuseppe Lombardi, responsabile della neuro-oncologia allo Iov, l’Istituto Oncologico Veneto, e uno dei coordinatori per l’Italia di uno studio internazionale che utilizza lo stesso dispositivo a ultrasuoni di questo studio per aprire la barriera ematoencefalica e somministrare due chemioterapici tradizionali, carboplatino e paclitaxel, contro il glioblastoma. Lo studio è già nella fase di arruolamento dei pazienti in alcuni Paesi, mentre da noi è in attesa di partire. “Il dispositivo di cui si parla nello studio coordinato dalla Northwestern lo conosciamo perché gli stessi autori avevano già pubblicato altri risultati sull’argomento lo scorso anno su Lancet Oncology – dice Lombardi – In entrambi i casi si tratta di studi interessanti, che aprono alla speranza di trattamenti innovativi contro una malattia che attualmnete viene trattata con la chirurgia, quando è possibile, seguita da un trattamento radio-chemioterapico”.

Questo secondo studio, spiega l’esperto, ha utilizzato due farmaci che con meccanismi differenti agiscono entrambi sul sistema immunitario potenziando l’effetto antitumorale: “Gli autori hanno dimostrato che quando il ‘cocktail’ di farmaci viene somministrato dopo gli ultrasuoni, la loro concentrazione aumenta e si rafforza l’attività del sistema immunitario. Negli animali da laboratorio sono riusciti anche a dimostrare un allungamento della sopravvivenza”. Ora, conclude Lombardi, bisogna vedere se le cose andranno allo stesso modo su un gruppo più numeroso di pazienti affetti da glioblastoma, e i primi risultati evidenziati in questo studio aprono a interessanti e promettenti prospettive.



www.repubblica.it 2024-06-07 12:08:06

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