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Terapia genica contro le malattie del fegato per evitare il trapianto

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La ricerca sulla terapia genica procede anche per il fegato, ed è più viva che mai. A testimoniarlo è il lavoro portato avanti da uno dei centri di riferimento in Italia per le malattie del fegato per la pediatria, l’ASST Papa Giovanni XXIII (tra i centri di eccellenza per la gastroenterologia). Qui, circa la metà dei trapianti di fegato effettuati ogni anno – circa una trentina – sono dovuti a malattie genetiche, patologie che deteriorano la salute dell’organo fino a rendere necessario il ricorso in sala operatoria per ricevere un fegato nuovo. La speranza, confida a Salute Lorenzo D’Antiga, Direttore del Dipartimento percorsi pediatrici integrati e Direttore della Pediatria dell’ASST Papa Giovanni XXIII e professore di Pediatria alla Bicocca di Milano, è che questi trapianti evitabili possano, grazie alla terapia genica, essere sempre più evitati. 

Terapia genica per le malattie del fegato: la sindrome di Crigler-Najjar 

La terapia genica classica – in cui si corregge un difetto genico, veicolando nell’organo o tessuto di interesse, la versione corretta del gene compromesso – sembrerebbe un’opzione particolarmente valida nel campo delle malattie genetiche del fegato. La gran parte, spiega D’Antiga, sono infatti malattie monogeniche, causate da un solo difetto genico e, almeno in teoria, eleggibili per la terapia genica. “Lo abbiamo fatto per la sindrome di Crigler-Najjar (una malattia che colpisce il metabolismo della bilirubina, nda), dove, in collaborazione con un’azienda no-profit, Généthon, spin-off del Telethon francese, abbiamo trattato cinque pazienti – spiega D’antiga – lo abbiamo fatto utilizzando un virus, nel dettaglio un vettore adenoassociato contenente un pezzetto di DNA che entra nelle cellule del fegato senza inserirsi nel DNA, ma si organizza in una struttura detta episoma, considerata più sicura. Questo DNA trascrive quindi la proteina mancante”. In questo caso quella prodotta dal gene UGT1A1. “La terapia genica viene iniettata tramite infusione endovena e il virus, grazie a un trofismo per il fegato, infetta solo le cellule epatiche, favorendo qui la produzione della proteina di interesse”, riprende l’esperto.

La malattia di Wilson

Lo studio per ora ha dimostrato che la terapia è sicura, ma ha anche suggerito una qualche efficacia. “Per due pazienti i benefici sono stati solo transitori, ma per tre pazienti, quelli trattati con dosi più elevate, i risultati sono stati tali da poter interrompere la terapia. E oggi, a due anni di distanza, la terapia funziona ancora”, spiega D’Antiga, “E’ la prima malattia in cui la terapia genica ha permesso di sospendere le terapie, potenzialmente curando i pazienti”. 

Il caso della sindrome di Crigler-Najjar non è però isolato, e il gruppo di D’Antiga all’ultimo congresso EASL sulle malattie del fegato, a Milano, ha portato i risultati dello studio di fase I-II relativi a un’altra malattia del fegato genetica rara, la malattia di Wilson, che colpisce invece il metabolismo del rame, portando a un accumulo in diversi organi, compreso il fegato. La strategia utilizzata è la stessa: un vettore adeno-associato che porta una copia corretta del gene, in questo caso ATP7B, mutato in presenza della malattia. Lo studio, condotto in collaborazione con la Vivet Therapeutics, ha mostrato la sicurezza e tollerabilità della terapia, con qualche indizio di attività per il gene introdotto nei pazienti (due per ora).

Il limite dei costi

Il caso della malattia di Wilson e della sindrome di Crigler-Najjar è solo un esempio di come la terapia genica potrebbe rivoluzionare la cura di alcune malattie del fegato, per evitare il trapianto: a volte unica possibilità di cura, ma soluzione estrema e non sempre sufficiente per alcune di queste, ammette D’Antiga. “Noi siamo pronti da tempo a raccogliere queste sfide, ma le terapie geniche hanno costi elevatissimi e molti progetti sono fermi o rallentati per mancanza di fondi. Stanno nascendo no-profit che provano a sostenerli, ma la sfida è grande: parliamo di milioni di euro. Servono risorse, centri dedicati allo sviluppo dei vettori, anche con officine in house, e competenze degli specialisti nella cura delle malattie del fegato”, conclude l’esperto.



www.repubblica.it 2024-06-17 14:01:14

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