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Tumore al polmone, sì l’immunoterapia dopo la chirurgia è efficace

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Cinque anni sono molti in oncologia. Nella cura del tumore del polmone sono una specie di spartiacque: se si è riusciti a diagnosticare la malattia in tempo per intervenire chirurgicamente e il tumore non ritorna entro i primi 5 anni, dopo è difficile che si ripresenti. Purtroppo, la recidiva, il ritorno della malattia, avviene in una elevata quota di casi. Ecco perché si cerca di capire se è possibile agire con terapie che aiutino a scongiurare questa evenienza. “Oggi sappiamo che l’immunoterapia, in particolare atezolizumab, funziona a questo scopo: a 5 anni, in una popolazione specifica di pazienti, l’aggiunta di questa molecola ai cicli di chemioterapia adiuvante dà un 20% in più di probabilità di non sviluppare una recidiva”, afferma Andrea Ardizzoni, Direttore UOC Oncologia Medica, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna. A confermarlo sono i dati presentati durante il congresso della Società americana di oncologia medica, che si è svolto all’inizio di giugno a Chicago.

Cambia lo standard delle cure

I pazienti che sono stati coinvolti nello studio sono quelli che hanno un tumore non a piccole cellule, il più diffuso, a uno stadio non avanzato, cioè quando ancora è possibile intervenire chirurgicamente per asportare il tumore, che quindi non si è diffuso in altri organi. Si stima che si tratti del 30% di tutti i casi di tumore al polmone. Ebbene, per queste persone lo standard di cure prevedeva, dopo la chirurgia, 4 cicli di chemioterapia adiuvante (precauzionale). “Un trattamento che ha dei risultati abbastanza modesti, con una riduzione media del 5%, rispetto al non far nulla, nel rischio di recidiva, a fronte di una tossicità importante”, sottolinea Ardizzoni. “Negli ultimi 40 anni questo era quello che potevamo offrire ai pazienti, ma ora i dati dello studio Impower10 ci confermano che è possibile fare di più, soprattutto per alcuni pazienti”.  

L’analisi finale della sopravvivenza libera da malattia di questo studio è la prima a dimostrare che l’immunoterapia porta un beneficio rilevante in un setting adiuvante con un follow-up di 5 anni. “Negli ultimi anni abbiamo apprezzato i buoni risultati che l’immunoterapia ha portato soprattutto nelle fasi di malattia avanzata; qui per la prima volta vediamo che funziona a lungo termine anche prima di arrivare a quello stadio”, spiega Ardizzoni. “E che funziona soprattutto per quei pazienti che hanno una espressione alta del target che viene colpito da atezolizumab, ovvero il PDL1. Il beneficio determinato dall’immunoterapia adiuvante in questo setting di malattia è un incremento di circa il 20% delle probabilità di sopravvivenza senza recidive nei pazienti con alta espressione PDL1. Questo vuol dire che a distanza di 5 anni dall’intervento chirurgico abbiamo circa il 65% dei pazienti che non ha avuto ricadute della malattia”. 

L’indicazione alla terapia adiuvante è stata autorizzata in Italia e già oggi i pazienti che hanno le caratteristiche giuste possono accedere a questa terapia. È fondamentale però che coloro che hanno una espressione alta di PDL1, circa il 30% di quelli che hanno subito la chirurgia, siano individuati fin da subito così da poterli curare nella maniera più efficace possibile. 



www.repubblica.it 2024-06-18 10:36:48

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