Il tracciamento resta la chiave per contrastare il coronavirus. Ecco come e perché



Si sapeva. Fin dall’inizio, chi guardava lontano sapeva che la pandemia da Covid-19 si sarebbe trasformata in una sorta di maratona, con scatti da parte dei due contendenti: da un lato operatori sanitari, sanità pubblica e cittadini, dall’altro il virus. Così, se in estate i primi sembravano aver preso un buon passo, in queste settimane si è assistito dapprima al sorpasso ed oggi il virus sta distanziando gli inseguitori. Addirittura, in queste lunga corsa che si concluderà solamente con l’arrivo di un vaccino efficace e sarà fatta di inseguimenti e ripartenze, oggi pare che la strategia delle tre T (testare, tracciare e trattare) sia in grandissima difficoltà.

A causa del gran numero di persone potenzialmente positive, testimoniato dalla crescita esponenziale dei casi nelle ultime settimane, diventa infatti difficile riconoscere tempestivamente chi ha contratto l’infezione, magari in maniera del tutto asintomatica, ed ancor più complesso è definire con valida approssimazione i possibili contatti a rischio, per inseguire il virus in questa sua corsa a diffondersi. Così si rischia di affidare questa fase difensiva al trattamento, che fortunatamente è sempre più efficace e mirato rispetto alle prime fasi della pandemia, a patto ovviamente che per il Sistema Sanitario e per le sue strutture le richieste d’aiuto non diventino soverchianti rispetto alle capacità di risposta, specie in ospedale e nelle terapie intensive.

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Per questo motivo il tracciamento dei possibili contatti appare oggi una delle chiavi per riavvicinare il virus che sta lanciando uno sprint, per rimanere nella metafora sportiva. Come fare? La risposta ovviamente non è la stessa ovunque, anche sul fronte delle possibili capacità di reazione del sistema e del supporto che si dà a chi si trova in quarantena e autoisolamento, ma esistono comunque indicazioni operative che le regioni possono adattare in base alle linee guida Ministeriali, che possono aiutarci a capire.

In termini generali il Ministero sul sito web ricorda come i contatti stretti di casi con infezione da Sars-CoV-2 confermati e identificati dalle autorità sanitarie, debbano osservare un periodo di quarantena di 14 giorni dall’ultima esposizione al caso oppure un periodo di quarantena di 10 giorni dall’ultima esposizione con un test antigenico o molecolare negativo effettuato il decimo giorno. Inoltre si segnala di controllare con un test molecolare chi vive vicino a soggetti a rischio e di studiare accessi specifici ai test per i bambini, otre che di evitare quarantena e test diagnostici nei contatti stretti di contatti stretti di caso, ad esempio i familiari di un possibile contatto che non risulti poi positivo o manifesti sintomi.

E soprattutto occorre evitare errori. “Prima di tutto bisogna sapere che esiste un tempo ottimale per fare il tampone – spiega Filippo Ansaldi, Direttore del Dipartimento di Prevenzione e programmazione dell’Azienda Ligure Sanitaria (Alisa). La massima sensibilità del test si ha tra i 5 e i 10-12 giorni dopo l’esposizione”. Ma allora, come comportarsi in caso di possibile positività per contatto? Ecco un semplice vademecum che, su scala nazionale, può aiutare.



www.ilsole24ore.com 2020-10-21 05:30:50

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