Più fumatori in pandemia. E da soli non si smette


FARLA FINITA con il tabacco, spezzare l’ultima sigaretta una volta per tutte salva la vita e fa risparmiare danaro. È difficile, certo, ma si può. E l’Organizzazione Mondiale della Sanità per la Giornata Mondiale Senza Tabacco edizione 2021, che si celebra in tutto il mondo il 31 maggio ha scelto come tema proprio Commit to Quit”, ovvero “impegnati a smettere”: un messaggio e un invito, potenzialmente diretto a un miliardo e 300 milioni di persone quanti sono i fumatori e le fumatrici a livello globale, e soprattutto a quei 780 milioni – il 60% – che hanno l’intenzione di intraprendere un percorso di uscita dal tabagismo. Che, attenzione, non è solo un vizio, ma una malattia cronica e recidivante. Che miete molte vittime. Ogni anno le vittime attribuibili al fumo sono quasi 8 milioni, 7,7 per la precisione. E 200 milioni sono stati i decessi causati dal consumo di tabacco negli ultimi 30 anni, stando a tre studi pubblicati a ridosso del No Tobacco day  su The Lancet e The Lancet Public Health e realizzati sulla base di 3.625 sondaggi condotti in 204 paesi.

Le patologie

Nel 2019, secondo le tre pubblicazioni su The Lancet, il fumo è stato associato a 1,7 milioni di decessi per cardiopatia ischemica, 1,6 milioni per BPCO (o broncopneumopatia cronica ostruttiva), 1,3 milioni per carcinoma polmonare e delle vie respiratorie, e poco meno di 1 milione per ictus. È stato calcolato che un fumatore di lungo corso su due muore per cause direttamente collegate al fumo e che chi fuma ha un’aspettativa di vita media minore di 10 rispetto ai non fumatori. A livello globale, l’età media in cui si inizia a fumare è 19 anni, con un minimo in Danimarca (16,4 anni) e un massimo in Togo (22,5 anni). Circa l’87% dei decessi attribuibili al fumo di tabacco si verifica tra i fumatori attuali. Solo il 6% tra chi ha smesso di fumare da almeno 15 anni. E questo è un dato interessante, è la buona notizia tra le tante cattive. Perché ci dice che i vantaggi della cessazione del fumo ci sono. E sono anche rapidi.

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I vantaggi, rapidi, della cessazione

Dopo soli 20 minuti dall’ultima sigaretta la frequenza cardiaca diminuisce. Entro 12 ore, il monossido di carbonio nel sangue (il prodotto tossico della combustione che si lega all’emoglobina scalzando l’ossigeno) scende fino a livelli fisiologici. Entro 2-12 settimane, la circolazione e la funzione polmonare migliorano e nel giro di massimo 9 mesi, tosse e mancanza di respiro diminuiscono. Entro 5-15 anni, il rischio di ictus si riduce per raggiungere quello di un non fumatore. Entro 10 anni, il tasso di mortalità per cancro ai polmoni si dimezza rispetto a quello di chi fuma. E entro 15 anni, il rischio di malattie cardiache è pari a quello di chi non fuma (fonte Oms).

L’Italia

In Italia i fumatori sono circa 10 milioni, con prevalenza maggiore nella fascia 25-40 anni. Si stima che nel nostro Paese siano attribuibili al fumo di tabacco oltre 93 mila morti l’anno, più del 25% di questi decessi è compreso tra i 35 ed i 65 anni di età. Per quanto riguarda il carcinoma polmonare, una delle principali patologie fumo correlate, nel nostro paese la mortalità e l’incidenza sono in calo tra gli uomini ma in aumento tra le donne. Il fumo di sigaretta è più frequente fra le classi socioeconomiche più svantaggiate (meno istruiti e/o con maggiori difficoltà economiche) e negli uomini. Il consumo medio giornaliero è di circa 12 sigarette, tuttavia quasi un quarto dei fumatori ne consuma più di un pacchetto. “Un dato nazionale interessante è quello che riguarda l’età media di chi matura l’esigenza di interrompere l’uso dei prodotti del tabacco, che è maggiore di 20 anni rispetto a quella di iniziazione al consumo del prodotto”, dice Roberta Pacifici, direttore del Centro Nazionale Dipendenze e doping dell’Istituto superiore di Sanità. Insomma, come dire che ci vogliono 20 anni di fumo per arrivare a decidere di smettere. O di provare a farlo.

Come smettere, le nuove Linee guida

Ecco, appunto, provare a smettere. Ma in che modo e che strumenti abbiamo oggi per sostenere chi vuole farlo? “In collaborazione con l’osservatorio epidemiologico della regione Lazio e con molti altri stakeholder stiamo lavorando alla stesura delle nuove Linee guida nazionali per la cessazione del fumo – riprende Pacifici -. Il documento è in fase di elaborazione ma ad oggi tutte le linee guida nazionali e internazionali indicano come la strategia più efficace sia l’associazione tra farmaci e sostegno psico-comportamentale. I farmaci sono diversi, hanno diversi meccanismi d’azione e anche differenti livelli di efficacia: e sono sostanzialmente o sostituti della nicotina o molecole che agiscono sul craving”. 

La volontà non basta

“Il fatto è che smettere di fumare non è solo un problema di volontà.  Certo, la persona deve volerlo fare, ma va messa nelle condizioni di raggiungere l’obiettivo, e questo lo possono fare professionisti formati e le strutture deputate, cioè i centri antifumo. In Italia ne abbiamo circa 220 distribuiti su tutto il territorio nazionale dove operano specialisti che sanno personalizzare l’intervento. Telefonando al numero verde (800.554.088) che sta su tutti i pacchetti di sigarette, il fumatore si mette in contatto con psicologi che valutano la sua motivazione e lo indirizzano verso il centro antifumo più vicino e più adatto a lui. Il tabagismo è una patologia cronica recidivante, se vuoi raggiungere l’obiettivo finale devi farti aiutare da professionisti che hanno strumenti e competenze per farlo. Queste strutture vanno incrementate e incentivate”, aggiunge Pacifici.

Incentivare la cessazione

“Gli strumenti da mettere in campo per incentivare la cessazione l’OMS li ha individuati da molti anni – riprende l’esperta ISS – il più efficace è l’aumento del prezzo delle sigarette: quando i prodotti del tabacco costano molto le persone sono incentivate a cessare e disincentivate ad iniziare. Ma questo da noi sembra irraggiungibile: in Italia non si riesce ad aumentare le accise, in Australia le sigarette costano moltissimo, e infatti il numero dei fumatori è diminuito sensibilmente. Una seconda strategia – aggiunge l’esperta – è appunto investire sui centri antifumo e sul personale che vi opera”.

Le fake news

“Oltre a questo è necessario avviare una battaglia seria contro le fake news. Oggi abbiamo un grosso problema che è quello della presenza sul mercato dei nuovi prodotti del tabacco, sigarette elettroniche e tabacco riscaldato, che vengono raccontati come prodotti con meno effetti negativi sulla salute. Delle sigarette elettroniche si dice addirittura che riescano ad aiutare a smettere di fumare, notizie che non sono suffragate da nessuna evidenza scientifica – tiene a dire Pacifici – La realtà è che questi prodotti rappresentano un disincentivo a smettere per chi ha una forte dipendenza, funzionando da fattori di distrazione dall’obiettivo che è quello di liberarsi dalla nicotina. È un po’ come se il fumatore passasse alle e-cig perché tanto fanno meno male, ma in questo modo rimanda, ritarda la cessazione del fumo”.

Fumatori nella pandemia

La pandemia COVID-19 ha portato milioni di consumatori di tabacco a decidere di entrare in un percorso di cessazione del fumo, tanto che l’OMS ha messo a disposizione dei volenterosi la possibilità di firmare una promessa on line per smettere di fumare firmandola si ottenevano indicazioni semplici per aiutarsi nell’obiettivo. A proposito di pandemia l’Istituto superiore di sanità in occasione della giornata contro il fumo 2020 ha pubblicato i risultati di un’indagine svolta nel mese di aprile dello scorso anno. Il senso era cogliere gli effetti del lockdown sulle abitudini al fumo degli italiani. Dalla survey, realizzata tramite questionari anonimi on line, emergeva che le persone che non sono riuscite a smettere di fumare nel periodo di confinamento in casa, hanno aumentato il numero giornaliero di sigarette. E che sono diminuiti i fumatori di sigarette tradizionali ma sono aumentati quelli di tabacco riscaldato e sigaretta elettronica.

Tra fumo e Covid

La prevalenza dei fumatori durante il lockdown è passata dal 23,3% al 21,9%: 1,4 punti percentuali in meno che corrispondono a circa 630 mila fumatori in meno (circa 334 mila uomini e 295 mila donne). Rispetto alle fasce d’età, hanno cessato il consumo di sigarette circa 206 mila giovani tra 18-34 anni, 270 mila tra 35 e 54 anni e circa 150 mila tra 55 e 74 anni. Inoltre un altro 3,5% della popolazione pur non cessando completamente il consumo dei prodotti del tabacco ha diminuito la quantità consumata.



www.repubblica.it 2021-05-28 04:56:00

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