Tumori, chi ha una mutazione BRCA potrebbe rispondere meglio all’immunoterapia


I pazienti che hanno una mutazione BRCA, e con un tumore che presenta un elevato carico mutazionale, potrebbero rispondere meglio all’immunoterapia. A suggerirlo è uno studio condotto da ricercatori della University of Oklahoma Health Sciences Center e pubblicato su Jama Network Open. Il risultato può essere importante, perché individuare i pazienti “giusti”, cioè quelli che hanno più  probabilità di trarre beneficio dai nuovi  farmaci, è una delle sfide dell’oncologia di precisione.

 

“Gli autori osservano che nei tumori con mutazione BRCA 1 e 2 associata al carico mutazionale (Tumor Mutational Burden, TMB, la quantità di mutazioni acquisite presenti nelle cellule tumorali, ndr.), la risposta all’immunoterapia con gli inibitori di checkpoint immunitari è migliore”, spiega Michele Maio, direttore del Centro di Immuno-Oncologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese (CIO): “È un pezzo di informazione che si aggiunge a quanto stiamo studiando e sperimentando anche in clinica, un piccolo tassello che si va a sommare alle conoscenze utili per riuscire a identificare i pazienti che dell’immunoterapia possano beneficiare di più, che hanno maggiori probabilità di rispondere a queste cure. Per esempio, sappiamo che reagisce bene all’immunoterapia il 30% di chi è affetto da carcinoma polmonare: dobbiamo capire perché questi 30 rispondono e perché gli altri 70 non lo fanno. Dobbiamo capire i meccanismi molecolari della resistenza e della sensibilità. L’individuazione dei pazienti è quindi fondamentale: le ragioni sono anche economiche, parliamo di cure costose per i sistemi sanitari, e naturalmente etiche”.

Lo studio

I ricercatori hanno quindi valutato se i geni BRCA1 e BRCA2 mutati possano essere o meno dei biomarcatori predittivi della risposta positiva al trattamento. E hanno concluso che sì: in combinazione con il carico mutazionale tumorale, un certo potenziale ce l’hanno. Lo studio di cui parliamo è stato condotto su oltre 39 mila campioni di diversi tipi di tumore (dal melanoma al tumore della vescica, dal carcinoma ovarico a quello del polmone) prelevati da più di 37 mila pazienti. Il 5,3% aveva un’alterazione BRCA 1/ 2. Contemporaneamente, di ogni campione è stato anche misurato il carico mutazionale. Da notare è che i tumori con i geni BRCA alterati sono risultati quelli con un carico mutazionale più alto.

Gli autori hanno poi arruolato 1.661 pazienti in cura con immunoterapia, di cui 141 (8,5%) con alterazione BRCA1/2. La sopravvivenza di chi aveva un’alterazione del BRCA2 è stata maggiore rispetto a chi non presentava. La sopravvivenza di chi aveva un carico mutazionale basso e BRCA2 alterato era paragonabile alla sopravvivenza dei pazienti con carico mutazionale alto, ed entrambi avevano una sopravvivenza migliore rispetto ai pazienti con tumori con BRCA2 mutato ma basso carico mutazionale.

Non basta un solo marcatore. Fondamentale studiare il microambiente tumorale

“Solo qualche anno fa – riprende Maio – non si sapeva che ci fosse una relazione tra il profilo molecolare del cancro e la risposta alla terapia. Ma ora sappiamo che i tumori producono neo-antigeni, cioè molecole che poi espongono sulla superficie delle loro cellule, che sono efficacemente riconosciuti dal sistema immunitario. Quindi sappiamo che con l’immunoterapia si può affrontare il cancro. In alcuni tumori si è visto che più alto è il numero di mutazioni migliore è la risposta all’immunoterapia. Ma – conclude l’esperto – sarà determinante anche studiare il microambiente del tumore, perché l’ecosistema che il cancro crea intorno a sé può modificare la risposta del sistema immunitario”.



www.repubblica.it 2021-05-31 13:31:26

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