170 mila ore di lavoro e fondi per 13 milioni di euro: ecco il valore del volontariat…


OLTRE 13 milioni di euro raccolti. Quasi 4 mila volontarie e volontari attivi, per un totale di 170 mila ore di lavoro donate, che equivalgono a quasi 20 anni. Ore dedicate a 29.500 pazienti con tumore al seno e a più di 6 mila loro familiari, e che hanno permesso di avvicinare alla prevenzione primaria circa 70 mila donne, di fare diagnosi precoce per circa 30 mila, di effettuare quasi 33 mila visite specialistiche per un valore di 300 mila euro. I fondi raccolti, inoltre, hanno consentito di acquistare strumentazione per la diagnosi, per un valore complessivo di 775 mila euro, e di cura per 400 mila. Questi sono solo alcuni dei numeri che danno conto del grande valore del volontario nell’ambito del tumore al seno nel 2020, cioè l’annus horribilis della pandemia: stime in realtà al ribasso per 12 mesi comunque difficilissimi, in cui però le attività delle associazioni non si sono mai fermate, sebbene abbiano subito un calo comprensibile ed inevitabile, che va dal 25 al 50% rispetto al 2019, a seconda delle voci considerate. Il che dimostra quanto ancora più valore possano potenzialmente generare le associazioni, anche perché sono in continua crescita.

L’analisi

A condurre l’analisi del valore sociale delle associazioni di volontariato del tumore al seno è Europa Donna Italia, il movimento che tutela i diritti delle donne alla prevenzione e alla cura del tumore al seno, che per il secondo anno consecutivo ha raccolto i dati da 121 associazioni distribuite in tutta Italia, attraverso un complesso questionario con ben 250 domande. Il nuovo rapporto, presentato oggi e realizzato con il contributo di PricewaterhouseCoopers Business Services, quest’anno porta anche il punto di vista dei team multidisciplinari delle Breast Unit, cioè i centri di senologia al cui interno operano molte associazioni, e presenta dati sia nazionali sia regionali.

Le associazioni non si sono mai fermate

“Siamo nell’era della rendicontazione ed è giusto far vedere come vengono impiegati i fondi raccolti. Ma quello che davvero mostrano questi numeri straordinari, al di là di tutto, è che tutte queste associazioni, se considerate nel loro insieme, svolgono un lavoro professionale davvero importante e imponente: un braccio operativo complementare a quello della sanità”, sottolinea Rosanna D’Antona, presidente di Europa Donna Italia: “L’importanza di questo dossier sta proprio nello sguardo di insieme. Si tratta di associazioni che garantiscono una presenza capillare e che svolgono un lavoro di alta qualità: basti pensare che oltre 2 mila volontarie hanno dedicato 236 ore alla formazione con corsi che abbiamo organizzato insieme a medici e a esperti dell’Università Cattolica di Milano. E il profilo delle associazioni che rappresentiamo presenta un trend in continua crescita. È la ri-conferma che le associazioni di volontariato del tumore al seno fanno davvero sul serio e sono una risorsa che non può essere sottovalutata”.

 

Chi sono i volontari e dove lavorano

Scendiamo nel dettaglio. Chi sono i volontari? Per la stragrande maggioranza (86%) donne, con un’età compresa tra 50 e 60 anni, e di cui circa un terzo è o è stata a sua volta paziente: “indicatore, questo, di quanto il tumore al seno lasci in termini di coesione sociale, di partecipazione e di volontà di miglioramento del percorso di cura”, come sottolinea il rapporto. Ai volontari si affiancano 600 dipendenti/consulenti retribuiti, con un’età media di 45 anni e che nel 42% dei casi è laureato o ha un titolo più alto (master, dottorato).

Il 38% delle associazioni opera sia all’interno dei centri di senologia, sia sul territorio. Solo il 2% opera esclusivamente all’interno delle Breast Unit: un dato che “indica un riconoscimento troppo basso del lavoro offerto da questa forza lavoro volontaria all’attività delle Breast Unit”, riporta Europa Donna Italia.

Che tipo di lavoro svolgono

Larga parte del lavoro, circa il 60%, consiste in attività di advocacy: ossia di dialogo e lobby nei confronti delle istituzioni (enti comunali, provinciali, regionali e, in alcuni casi, anche nazionali), per far emergere le necessità delle pazienti e chiedere interventi di miglioramento dell’assistenza sanitaria e dei percorsi di diagnosi e cura. Attività che nel 2020 si è concentrata anche sulle criticità generate dalla pandemia: dai ritardi nei programmi di screening mammografico, agli interventi chirurgici rimandati. Il resto del lavoro si concentra soprattutto su attività di informazione e sensibilizzazione per la prevenzione primaria (84% delle associazioni), di guida alla prevenzione secondaria con particolare attenzione all’adesione agli screening (81%), di assistenza alle pazienti, rapporto con gli ospedali e sostegno al benessere post terapie (dal 59% al 64%). Altra parte del tempo viene dedicata all’assistenza ai familiari e caregiver e, non in ultimo, alla propria formazione.

 

Come vengono impiegati i fondi raccolti

Nel 2020 la raccolta fondi tra tutte le associazioni ha totalizzato un importo di più di 13 milioni: una stima “al ribasso” se si considera che solo il 55,3% ha risposto a questa voce del questionario. Oltre a finanziare l’acquisto di apparecchiature diagnostiche (oltre 30 apparecchiature tra ecografi, sonde, macchinari per la risonanza magnetica e così via) e di cura (oltre 5 mila, tra come dispositivi di protezione individuali, bisturi, caschetti refrigeranti per ridurre il rischio di caduta dei capelli, mammotomi, protesi, ecc.), sono stati devoluti alle pazienti più di 180mila euro sotto forma di donazione. I fondi sono serviti anche per fornire alle pazienti dei servizi sanitari – come le sedute di fisioterapia, il supporto psicologico o le visite specialistiche – ma anche assistenza legale, trasporti per l’ospedale (ne sono un esempio le 13 associazioni che possiedono 33 pulmini che consentono di portare 570 pazienti dalle proprie abitazioni ai centri di cura), attività per il recupero psico-fisico (come yoga, attività fisica, scrittura e arteterapia, corsi di trucco dopo la chemioterapia), banche delle parrucche, grazie a giovani che donano i propri capelli per chi li perderà a causa della chemioterapia. Altra parte dei fondi sono stati destinati alle campagne di sensibilizzazione.

 

Nel 2020, la quasi totalità (90%) delle associazioni ha offerto visite e incontri con specialisti a titolo completamente gratuito. Per effettuare le visite mediche specialistiche, molte associazioni hanno previsto anche convenzioni o sconti che hanno registrato un valore economico di circa 300 mila euro e l’erogazione di 24 borse di studio per un valore complessivo superiore a 250 mila euro.

La pandemia e i vantaggi del volontariato  digitale e “smart”

Quella delle visite in presenza è senza dubbio una delle voci che più ha subito il contraccolpo della pandemia. Quasi tutte le associazioni (94%), però, hanno dichiarato di essere riuscite a continuare a operare, seppur in modo ridotto e spesso in modalità “smart working”, inventando letteralmente formule nuove di assistenza e tele-relazioni, che probabilmente continueranno a persistere, vista l’efficienza, anche in futuro. “Perché se c’è un vantaggio di doversi reinventare attraverso la rete – scrive una delle associazioni – è quello di poter raggiungere molte più persone. Quindi non tutto il male è venuto per nuocere”. Molte associazioni, ancora, hanno raccolto fondi per portare a casa delle pazienti medicine e cure. Insomma, a fronte di tanti servizi che sono stati ridotti, giocoforza, sono moltissimi quelli riformulati o realizzati ex novo, spesso utilizzando i social network.

E nelle Breast Unit?

Da molti anni, ormai, è stata riconosciuta l’importanza della presenza di associazioni di volontariato all’interno delle Breast Unit, tanto da essere un requisito. Ancora però, non ovunque rispettato. Il nuovo rapporto integra una survey che ha coinvolto i Coordinatori di 139 Breast Unit (su un totale di 185 presenti in Italia), seguita da un focus group dedicato a un gruppo selezionato tra i 34 rispondenti. Molte le informazioni emerse, tra cui “la necessità di dare maggiore spazio fisico alle associazioni in modo che siano messe nelle condizioni di essere più presenti all’interno delle strutture sanitarie e rappresentare di conseguenza un punto di riferimento per le pazienti, in particolare nelle situazioni di day hospital o nei momenti successivi alle visite”. Non a caso nella sua introduzione al rapporto, Pierpaolo Sileri, medico e Sottosegretario al Ministero della salute, parla di un “insostituibile servizio non solo verso le pazienti”

 

L’economia sociale ha a “E” maiuscola

E ancora, in una seconda prefazione, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali Andrea Orlando, sottolinea: “Le esperienze associative e di volontariato, come le vostre, aiutano le istituzioni, il decisore pubblico, ad innovarsi nelle strategie dell’offerta di servizi di importanza fondamentale per la piena integrazione lavorativa delle donne. Servizi accessibili ed intelligenti, capaci di adattarsi alle esigenze reali della vita delle donne in tutte le varie dimensioni in cui essa si svolge. Ma perché questo si realizzi occorre innanzitutto che le Istituzioni, a tutti i livelli, si mettano in una posizione di dialogo e di ascolto delle esperienze”.

 

“Non dobbiamo anche dimenticare che che queste attività significano 600-700 posti lavoro: vuol dire che in queste strutture si genera lavoro per le donne – conclude D’Antona – Noi nel 2020 abbiamo raccolto e dirottato fondi per 13 milioni di euro, ma il comparto del Terzo settore nel complesso dirotta miliardi. E tutto questo va regolamentato e rendicontato. Parliamo di economia sociale, che è un’economia con la “E” maiuscola”.



www.repubblica.it 2021-08-03 13:48:26

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