La realtà virtuale? Meglio degli analgesici


L’obiettivo è semplice. Andare a “distruggere” quel pugno di cellule che in qualche modo diventano il motore per lo sviluppo della fibrillazione atriale, l’aritmia più diffusa. In qualche caso, infatti, in pazienti selezionati può diventare necessario procedere con questo approccio, che si può basare sia sul calore, con quella che si chiama termoablazione, sia sulle bassissime temperature che mirano allo stesso fine, ovvero con la crioablazione. L’intervento viene effettuato dallo specialista che porta questa sorgente di bassissima temperatura esattamente in prossimità dell’area di cellule da “annullare” nella loro funzione. Nel caso in cui lo specialista proceda con il trattamento in sedazione cosciente, ovviamente, nel soggetto da trattare può essere presente un certo disagio. E soprattutto, in seguito alla terapia, può permanere dolore.

La cuffia che riduce il dolore

Stando ad una ricerca apparsa su Journal of Medical Internet Research, e coordinata da Thomas Roxburgh, tuttavia, c’è una contromisura per limitare questi problemi: si chiama realtà virtuale e punta a “trasportare” il soggetto in trattamento per la fibrillazione in una situazione maggiormente tranquilla, attraverso programmi specifici che “agiscono” sul paziente.  Lo studio ha preso in esame 48 pazienti sottoposti a crioablazione della fibrillazione atriale, che hanno indossato una cuffia per la realtà virtuale nel corso dell’intervento, paragonandone gli effetti con quanto osservato in una cinquantina di persone che hanno invece avuto un trattamento tradizionale con analgesici. I risultati sono sicuramente interessanti: nel gruppo sottoposto alla realtà virtuale il dolore percepito medio è risultato più basso rispetto ai controlli, con una miglior sopportazione della procedura. Va detto però che la realtà virtuale in circa il 15% dei pazienti ha portato a sospendere la sessione in corso, per la comparsa di perdita di coscienza e di segni legati alla “cybersickness”. Questa condizione, simile al mal di mare, si può verificare sotto forma di nausea e vertigini ed appare legato all’impiego dei visori per la realtà virtuale, anche se ovviamente la cinetosi non si verifica in presenza di un movimento fisico reale.

In attesa che ulteriori studi consentano di far luce sulla possibilità di impiegare queste strategie per mettere a proprio agio il paziente durante il trattamento, rimane la certezza che la tecnica sta diventando sempre più importante nel trattamento di forme specifiche di fibrillazione atriale. “La crioablazione della fibrillazione atriale è una procedura che consente di isolare elettricamente le vene polmonari dell’atrio sinistro tramite l’utilizzo delle basse temperature – spiega Alessandro Costa, specialista presso la Divisione di Cardiologia dell’Irccs Ospedale Sacro Cuore-Don Calabria di Negrar. In questo modo il problema viene trattato all’origine dato che, contrariamente a quanto si crede, non risiede nell’atrio ma dipende dalle vene polmonari”. Da alcuni anni il trattamento definitivo per questo tipo di aritmia prevedere di disconnettere elettricamente e in maniera circonferenziale le vene polmonari dell’atrio sinistro utilizzando diverse forme di energia, come radiofrequenza, freddo o laser. “La crioablazione della fibrillazione atriale è una metodica che va diffondendosi rapidamente: eseguibile anche a paziente vigile, è generalmente ben tollerata anche se condotta in anestesia locale – riprende Costa. E’ esperienza comune, però (supportata anche da studi clinici), che i pazienti avvertano in questo modo una fastidiosa cefalea, durante le fasi di congelamento, e non raramente un modesto discomfort toracico. Spesso, la posizione supina obbligata determina un fastidioso mal di schiena. Per tutto ciò, presso il nostro Centro eseguiamo la crio-ablazione della fibrillazione atriale in anestesia generale, in collaborazione con gli anestesisti. Nella fase di risveglio, è possibile avvertire un certo mal di gola – dovuto all’intubazione – e un po’ di nausea, dovuta ai farmaci anestesiologici. Il modesto dolore toracico, generalmente riscontrato nel post-operatorio, è dovuto invece all’effetto infiammatorio provocato dalle basse temperature sul tessuto cardiaco e all’intero organismo. Questi disagi, generalmente lievi, sono risolvibili facilmente mediante somministrazione endovenosa di semplice paracetamolo”.



www.repubblica.it 2021-08-05 08:00:00

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