Dopo l’infarto: sane abitudini e attenzione alle cure allungano la vita


C’è una parola chiave che può aiutare le persone che hanno superato un infarto e più in generale chi è in trattamento per i fattori di rischio cardiovascolare. Si chiama aderenza. Quando si seguono con grande attenzione i consigli del medico in termini di sane abitudini di vita e di terapie da assumere, il rischio cardiovascolare tende a calare anche in questa popolazione.

Ora uno studio presentato al congresso della Società Europea di Cardiologia (Esc) arriva addirittura a quantificare il guadagno medio di chi si mette di buzzo buono per limitare questa sorta di rischio residuo. Osservando le indicazioni, diverse caso per caso, anche dopo un infarto si potrebbero guadagnare mediamente addirittura sette anni di vita, sia pure considerando il rischio più elevato di chi ha già avuto un episodio ischemico così significativo.

La ricerca è stata condotta da Tinka Van Trier dell’Università di Amsterdam e si è concentrata proprio sul rischio residuo, ovvero il pericolo di un ulteriore attacco cardiaco che permane in soggetti infartuati anche dopo trattamento convenzionale.

L’approccio terapeutico si basa su due elementi chiave: modifiche dello stile di vita, mirate a correggere con buone abitudini i fattori di rischio, e farmaci che possono aiutare su questo percorso. Purtroppo raggiungere questi obiettivi non è semplice, e proprio per questo, stando allo studio, il rischio di nuovi episodi ischemici può rimanere molto alto. Come ricorda Van Trier, “la maggior parte dei pazienti con infarto rimane ad alto rischio di un secondo attacco un anno dopo”.

La ricerca, come ricorda l’Esc, ha considerato le informazioni relative a oltre 3200 soggetti ad altissimo rischio cardiovascolare perché colpiti da infarto o sottoposti a posizionamento di stent (la reticella che mantiene dilata l’arteria in cui si è formata un’occlusione) a by-pass con un intervento cardiochirurgico. Quasi un quarto dei soggetti valutati è di sesso femminile.

I dati che emergono dall’analisi degli atteggiamenti nei confronti dl alcuni fattori di rischio non sono certo incoraggianti. Il 30% delle persone dopo un anno dall’evento a carico del cuore non ha abbandonato le sigarette, poco meno di otto su dieci pazienti è risultato in sovrappeso e quasi la metà dei soggetti non ha svolto un’attività fisica regolare sufficiente.

Altri dati che preoccupano: solo due persone su cento hanno raggiunto gli obiettivi per il colesterolo Ldl, quello “cattivo”, pressione arteriosa e glicemia. Il 40% delle persone ha continuata ad avere ipertensione e il 65% è rimasto con Ldl elevate. Fa pensare il fatto che comunque l’indicazione e l’impiego di farmaci in prevenzione è stato molto elevato: l’87% dei soggetti utilizzava farmaci antitrombotici, l’85% assumeva farmaci che riducono il livello dei lipidi e l’86% era in cura con fermaci per ridurre la pressione.

Attraverso un particolare modello statistico, gli studiosi hanno quindi calcolato il rischio nel corso della vita di infarto, ictus o morte per malattie cardiovascolari correlandolo con gli anni di vita senza eventi a carico del cuore in presenza di uno stile di vita e di trattamento farmacologico ottimale.

In particolare il modello matematico, chiamato Smart-Reach, ha preso in esame cinque elementi: astensione dal fumo, trattamento con due farmaci mirati a ridurre il rischio di trombosi, assunzione di farmaci per abbassare il colesterolo LDL (statine ad alta intensità, ezetimibe e inibitore PCSK9), raggiungimento di una pressione massima inferiore a 120 millimetri di mercurio, controllo della glicemia con farmaci in caso di presenza della malattia metabolica. Ovviamente, pur non essendo considerati nel calcolo, l’attenzione al peso e l’attività fisica regolare rappresentano ulteriori elementi protettivi.

Il calcolo statistico dice che il rischio rischio medio di vita residuo stimato risulta del 54%, ovvero che più o meno la metà dei soggetti seguiti avrebbe avuto un infarto, un ictus o un eventuale decesso per malattie cardiovascolari ad un certo punto della propria vita. Ma se si realizzasse la completa adesione ai cinque parametri considerati, il rischio medio scenderebbe al 21%: quindi solo un paziente su cinque andrebbe incontro alle situazioni sopracitate.

Una sintesi finale dei dati, riportata dall’ufficio stampa dell’Esc, viene fatta da Van Trier: “I risultati mostrano che, nonostante gli attuali sforzi per ridurre la probabilità di nuovi eventi dopo un infarto, c’è un notevole margine di miglioramento. La nostra analisi suggerisce che il rischio di un altro evento cardiovascolare potrebbe, in media, essere dimezzato se le terapie fossero applicate o intensificate. Per i singoli pazienti, ciò si tradurrebbe in un guadagno medio di 7,5 anni senza eventi”.



www.repubblica.it 2021-09-02 20:24:29

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