Psicologia: rimuginare sulle cose può fare male alla salute


Capita spesso e a tante persone di rivivere episodi, frammenti di vita e di mettersi a rimuginare in maniera pervasiva. Succede perché non ci si riesce a distaccare in maniera sufficiente da persone eo situazioni che ci circondano. Basta un niente, una canzone, un cartellone pubblicitario, la vetrina di un negozio, un profumo che riporta alla nostra mente una situazione non superata, non accettata ed ecco che scatta il rimuginare. Un fenomeno molto pericoloso, perché non solo guasta la giornata e rovina il rapporto con gli altri, ma può avere un impatto biologico sulla salute fisica. Purtroppo la propensione a ruminare sulle cose, a tornarci su, a pensare a come sarebbe potuto essere e come invece è stato, secondo uno studio dell’università del Michigan, coinvolge il 73% degli adulti fra i 25 e i 35 anni. Al salire dell’età, il problema si aggrava, riguardando il 52% dei 45-55 enni.

Perché rimuginare non ci fa bene

La parola rimuginare nel significato corrente indica il pensare e ripensare, concentrarsi con esattezza, rimestare. “Proviene dal latino muginàrì interpretato come il mormorare o il dondolare o il baloccare, derivato a sua volta da una radice sanscrita, mugh-mahate, che indica l’essere vano o il fare vano”, spiega Claudio Cassardo, psicoanalista, in attività al Servizio di Psicologia dell’Ospedale San Paolo di Milano.

In effetti se ci si ferma a pensare alla parola rimuginio, forse la prima semplice associazione che balena alla mente è l’azione del ruminare. I ruminanti sono gli animali che per digerire e assimilare il cibo hanno la necessità di riportare alla bocca tutto quello che hanno ingurgitato e depositato nello stomaco.

“In questa prospettiva si può vedere il rimuginio come un pensare con la bocca, un rimasticare mentale dedicato a rendere un pensiero via via meno ostile e più sopportabile, triturandolo. E si può di conseguenza vedere in questo gesto, tenendo a mente il paragone, un complesso evento psichico che comprende sia il piacere (pensando al senso di avere in bocca qualcosa da rimasticare di continuo), sia la rabbia (pensando al senso legato al fare poltiglia di qualcosa). Possiamo dunque ipotizzare che l’uomo sia cosi affezionato a questa pratica mentale, sia pur vana, perché ne può ricavare al contempo un doppio segreto sollievo”, prosegue il dottor Cassardo.

“Tornando alla radice sanscrita che evoca la dimensione del vano e “rimanda ad una attività paradossale dedicata a ‘ripetere un fare vano’, il rimuginare può essere visto come una pratica che aiuta inoltre l’uomo a sopportare uno spettro molto temibile, il vano appunto, il ‘vacuo’, il vuoto (‘homini aborrit vacuum’). Tenendo a mente che una versione del vuoto, forse la più abissale, è il tempo, e una versione del tempo, forse la più spaventosa, è l’adesso. E che il rimuginio riempiendo, stipando l’adesso, lo sa evitare con maestria” precisa ancora l’esperto.

Il cinema e i sentimenti umani

Il cinema è definito come la settima arte e alcuni film sono in grado di aiutare a capire sentimenti umani complessi come il rimuginio. Caterina va in città, per esempio, è un film di Paolo Virzì, con protagonista Sergio Castellitto e su questo personaggio il tema del rimuginio è cucito in maniera molto calzante.

“Ricordando l’aiuto che il rimuginio può fornire nei campi del dare il piacere, esprimere la rabbia e sventare il vuoto, il professore (Sergio Castellitto), padre dell’adolescente Caterina che non si concede di guardare per aria e intorno nel suo ‘adesso’, e sparisce nelle immagini che ha in mente legate al passato e nel ripassarle di continuo, possiamo immaginare che abbia in quel momento tre missioni da svolgere mediante il suo rimuginio: darsi piacere, distruggere i nemici e ammazzare il tempo. E questo è un dato interessante che il rimuginio ci può aiutare a mettere a fuoco, ossia la fatica che fa l’uomo a tollerare il qui e ora, e ciò che ha davanti ai sensi, e di conseguenza la fatica che fa ad accorgersi del mondo e della bellezza del mondo” commenta il dottor Cassardo.

La bellezza dell’attimo presente, fuor di retorica, si riesce a cogliere, a ben guardare solo se ci concediamo di usare i sensi nel verso esatto, dal fuori verso l’interno del nostro corpo, e non nel senso opposto, dal nostro interno al di fuori.

“Il professore non riesce a vedere la bellezza del mondo perché invece di ricevere le immagini dell’adesso che ha davanti agli occhi, emette le immagini del passato che ripassa di continuo nella sua mente e che si trovano dietro i suoi occhi, spalmandole sull’adesso, spalmando il passato sopra l’adesso. Ma perché? Perché la bellezza è dolorosa. E perché la bellezza è dolorosa? Perché riguarda le emozioni del nuovo e dell’ignoto, mentre noi cerchiamo disperatamente durante tutta la nostra vita di tornare a casa, come dice il poeta, in varie maniere, di cui una è rimuginare”, conclude Cassardo



www.repubblica.it 2021-09-16 21:13:04

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