Melanoma, l’immunoterapia in fase precoce funziona anche nel mondo reale



NON sempre i dati raccolti nella pratica clinica sono in accordo con quanto visto durante le sperimentazioni cliniche. Questa volta, invece, sì. Il caso è quello dell’uso dell’immunoterapia in fase precoce in pazienti di melanoma in stadio III e IV resecato, cioè in una fase in cui la malattia è stata completamente asportata. Lo studio che lo dimostra, che viene presentato al congresso della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO), in corso fino al 21 settembre, è italiano ed è il più ampio programma al mondo sull’utilizzo dell’immunoterapia in fase precoce nella pratica clinica quotidiana del trattamento del melanoma. I risultati ci dicono che a due anni la sopravvivenza libera da recidiva ha raggiunto il 58% e quella libera da metastasi a distanza il 70% dei pazienti. “Il programma di accesso allargato è stato attivato per consentire ai pazienti di accedere all’immunoterapia con nivolumab in adiuvante prima dell’approvazione dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) in questa indicazione, avvenuta a dicembre 2019 – spiega Paolo Ascierto, Direttore Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative del ‘Pascale’ di Napoli.

 

I pazienti fuori dagli studi clinici

I 611 pazienti, che presentavano caratteristiche diverse rispetto a quelli dello studio registrativo perché, ad esempio, più fragili, anziani o con comorbidità, sono stati infatti arruolati fra novembre 2018 e giugno 2019. “Nei pazienti con la malattia in stadio IIIB o IIIC, non sottoposti a terapia adiuvante dopo la resezione chirurgica, il tasso di recidiva a 5 anni è elevato, pari al 71% e all’85%. Va inoltre considerato che la metà dei pazienti con melanoma avanzato o metastatico proviene direttamente dagli stadi I e II, gli altri invece dallo stadio III dopo progressione. L’immunoterapia in adiuvante dura solo un anno, aumenta la possibilità di evitare la recidiva della malattia e, quindi, potenzialmente di guarire la persona”, sottolinea l’oncologo.

 

La sequenza di terapie

Al Congresso ESMO, inoltre, sono presentati per la prima volta i risultati preliminari dello studio SECOMBIT, che ha l’obiettivo di individuare la giusta sequenza di terapie nelle persone con melanoma metastatico che presentano la mutazione del gene BRAF. Il trial sperimenta tre opzioni per individuare la sequenza migliore. La prima è la combinazione di terapie target per proseguire con la combinazione di due molecole immuno-oncologiche, nivolumab e ipilimumab, dopo progressione di malattia. La seconda opzione è la duplice immunoterapia per proseguire con la combinazione di target therapy dopo progressione. Infine il cosiddetto ‘sandwitch arm’, cioè la sequenza di terapie target e della combinazione delle due immunoterapie e, solo in caso di progressione, la prosecuzione con terapie target. Sono disponibili i dati a un follow up mediano di 32,2 mesi. “La seconda opzione, che prevede l’avvio con la combinazione di immunoterapie, consente di raggiungere la migliore sopravvivenza globale a 3 anni, pari al 62%, rispetto all’avvio con la terapia target (54%) o con la terza opzione (60%). I dati preliminari indicano una sopravvivenza libera da progressione, a tre anni, pari al 53% iniziando con la combinazione di nivolumab e ipilimumab rispetto al 41% con la terapia a bersaglio molecolare e al 54% con la terza opzione”, afferma Ascierto. “La scelta dell’immunoterapia prima della terapia target è quindi sostenuta da questi dati e dal tasso di risposta obiettiva, che si dimezza passando dal 45% al 25% quando è somministrata in seconda linea”.

 

Nuovi dati su LAG-3

All’ESMO viene presentato anche l’aggiornamento dello studio RELATIVITY-047 sulla combinazione di relatlimab e nivolumab in prima linea, con l’analisi dei sottogruppi. “Relatlimab è una nuova molecola immuno-oncologica inibitore del checkpoint immunitario LAG-3 – conclude il Prof. Ascierto -. Si confermano i risultati già illustrati lo scorso giugno al congresso americano di oncologia medica: la sopravvivenza libera da progressione mediana ha raggiunto 10,12 mesi con la combinazione rispetto a 4,63 mesi con la monoterapia con nivolumab. E si conferma il dato già evidenziato anche con nivolumab più ipilimumab, cioè quello relativo all’intervallo libero da trattamento, decisamente superiore con la combinazione (3,22 mesi) rispetto alla monoterapia (1,41 mesi)”. Il ‘Pascale’ ha svolto un ruolo centrale nello sviluppo di relatlimab, avviando nel 2017 il primo studio al mondo sulla molecola con il coinvolgimento di circa 200 pazienti, dimostrando che LAG-3 svolge un ruolo decisivo nella resistenza ai farmaci anti-PD1 come nivolumab, rappresentando quindi un ulteriore checkpoint immunitario utilizzato dal cancro per aggirare la risposta alle terapie immuno-oncologiche.



www.repubblica.it 2021-09-20 15:49:40

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