Perdita di gusto e olfatto per Covid, la causa potrebbe essere genetica


L’anosmia e l’ageusia sono due sintomi Covid che tutti temiamo e abbiamo imparato a conoscere: stiamo parlando della perdita o diminuzione del senso dell’olfatto e del gusto, causati più frequentemente dalla variante Alfa e Delta rispetto ad Omicron.

Ma a cosa sono dovuti? Pare che sia una predisposizione genetica a influenzare la probabilità di andare incontro a questi due sintomi neurologici, che spesso si manifestano insieme, e che non sempre tornano alla normalità in tempi brevi.

La scoperta dei ricercatori della 23andMe, società di genomica e biotecnologia con sede a Mountain View, in California, è stata appena pubblicata su Nature Genetics, chiarendo per la prima volta i meccanismi che portano alla perdita di gusto e olfatto nel Long Covid.

Lo studio punta i riflettori su due colpevoli, i geni Ugt2a1 e Ugt2a2, a cui risulta associato un aumento dell’11% di possibilità di sviluppare a lungo questi fastidiosi sintomi in seguito all’infezione da Sars-Cov-2.

Si stima che quasi due terzi dei pazienti Covid abbiamo sperimentato almeno una anosmia o iposmia, ovvero una riduzione della capacità di percepire gli odori, che influiscono sul benessere psicologico, sulla salute fisica, sulle relazioni e sul senso di sé. Stiamo parlando quindi di più di 200 milioni di persone nel mondo.

Fortunatamente la maggioranza recupera spontaneamente il gusto e l’olfatto in alcune settimane, ma per il 10-20% non è così: per queste persone il problema si manifesta più a lungo, anche oltre i cinque mesi.

Uno studio condotto dall’Università di Trieste sulla prevalenza e il tasso di recupero del senso dell’olfatto o del gusto ha appurato che un paziente italiano su cinque lamentava alterazioni ad un anno dall’infezione. E pare che siano proprio queste persone ad avere la predisposizione genetica scovata dai ricercatori americani.

Analizzando l’intero genoma di 69.841 persone che vivono negli Stati Uniti e nel Regno Unito, in gran parte donne, il gruppo di ricerca ha scoperto il meccanismo che coinvolge alcuni enzimi delle cellule che rivestono il tessuto interno del naso, che a loro volta si legano ai recettori coinvolti nel rilevamento dell’odore e del gusto.

“Entrambi i geni da noi individuati sono espressi nell’epitelio olfattivo e svolgono un ruolo importante nel metabolizzare gli odori – spiega il dottor Adam Auton, autore principale dello studio – . E la loro mancata attivazione dovuta all’infezione da Covid crea il collegamento genetico ai bio-meccanismi alla base della perdita di odore o sapore che stavamo cercando”.

Ugt2a1 e Ugt2a2 fanno parte della famiglia dell’uridina difosfato glicosiltransferasi, enzimi che metabolizzano i substrati lipofili: queste molecole catturano gli odori che entrano nella cavità nasale e li portano ai recettori olfattivi. E se la loro azione si blocca, perché inibita da Sars-Cov-2, non viene più stimolato il bulbo olfattivo, il che impedisce all’odore di essere rilevato dal cervello. La perdita dell’olfatto dovuta al Covid, quindi, è correlata ai danni causati dal virus alle ciglia e all’epitelio olfattivo, non all’infezione dei neuroni olfattivi come erroneamente si poteva pensare.

In pratica “Sars-Cov-2 entra nelle vie aeree e si accumula nelle cellule di supporto olfattivo, in particolare nelle cellule sustentacolari – dette di supporto all’epitelio olfattivo – che, a differenza dei neuroni, esprimono abbondantemente proteine di conversione dell’angiotensina Ace2, che sappiamo essere collegate al Covid – aggiunge Auton – . Queste cellule di supporto sono metabolicamente e funzionalmente associate ai neuroni olfattivi e alla trasmissione del segnale odoroso, ecco perché quando viene interrotta la loro funzione, il senso risulta gravemente compromesso”.

Avere la certezza che la perdita del gusto e dell’olfatto non sia collegata a un’infiammazione diretta dei neuroni ma a un processo enzimatico differente potrebbe cambiare le strategie di cura sinora applicate, e conferma che l’allenamento olfattivo rimane una delle terapie più adeguate per recuperare il senso perduto.

Fra i farmaci utilizzati ci sono invece i corticosteroidi che, riducendo l’infiammazione, possono essere utili ma hanno potenziali effetti collaterali ben noti, tra cui ritenzione di liquidi, ipertensione e problemi con sbalzi d’umore e comportamento, il che non li rende adatti a tutti.



www.repubblica.it 2022-01-17 16:01:00

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