Vaccino Alzheimer: positivi i primi test sulle persone con sindrome di Down


Preliminare sì, ma possibile. I risultati che arrivano da uno studio appena pubblicato sulle pagine di Jama Neurology suggeriscono cautela sì ma anche che la somministrazione di un vaccino per contrastare l’Alzheimer nelle persone con sindrome di Down è una strada percorribile. Il vaccino infatti si è mostrato sicuro e ha indotto una risposta immunitaria in alcuni partecipanti.

A indicare che potrebbe essere d’aiuto a contrastare l’insorgenza della demenza nelle persone con sindrome di Down. Anche se la cautela è d’obbligo per diversi aspetti. Non solo per il carattere preliminare dei dati – che riguardano un piccolo gruppo di pazienti – ma anche per l’approccio utilizzato. Ma andiamo con ordine.

Il rischio Alzheimer per le persone con sindrome di Down è del 90%

Le persone con sindrome di Down, raccontano gli autori – un team di ricercatori guidati da Michael S. Rafii della University of Southern California di San Diego – hanno un rischio di sviluppare Alzheimer nel corso della loro vita pari al 90%. L’ipotesi è che la presenza di una copia extra del cromosoma 21 predisponga ad un accumulo della beta-amiloide, dal momento che è proprio su questo cromosoma che si trova la proteina precursore della beta-amiloide (APP). E l’ipotesi della beta-amiloide, ovvero quella per cui accumuli di questo peptide si depositano nel sistema nervoso centrale danneggiando i neuroni, è una delle ipotesi più probabili per spiegare l’origine dell’Alzheimer.

L’idea dei ricercatori dunque è stata quella di capire se, in una popolazione con un rischio così elevato di sviluppare la malattia, fosse possibile utilizzare un vaccino con attività anti-amiloide. Nel dettaglio il prodotto testato è il vaccino ACI-24 dalla AC Immune SA, basato su una piattaforma liposomica (una pallina di molecole grasse) contenente al suo interno una parte della beta-amiloide, i primi 15 amminoacidi.

Come funziona

L’idea è che somministrando il vaccino il sistema immunitario sviluppi una risposta contro la beta-amiloide per combatterla, tanto per le forme solubili che per quelle insolubili della proteina, riducendone i livelli. Qualcosa già tentato e osservato a livello preclinico, ricordano gli autori, sebbene con riduzioni non significative.

In questa sperimentazione clinica, finanziata anche dal National Institute on Aging (NIA) statunitense, i ricercatori hanno testato la sicurezza e la tollerabilità del vaccino in uno studio randomizzato in doppio cieco che ha coinvolto 16 adulti (32 anni l’età media). Alcuni hanno ricevuto il vaccino sperimentale in diverse dosi, altri il placebo.

I risultati

Analizzando i risultati, i ricercatori hanno osservato che la maggior parte degli eventi avversi osservati erano lievi (da mal di testa, a rash, diarrea, o problemi gastrointestinali) o non imputabili alla somministrazione dei trattamenti. Anche i dati di analisi di laboratorio o di imaging non hanno sottolineato particolari anomalie.

In termini di risposta immunitaria, in quattro dei 12 partecipanti che avevano ricevuto il vaccino (in due gruppi con dosi diverse) si è osservato un aumento degli anticorpi diretti contro la beta-amiloide, non osservato in nessuno di quelli che avevano ricevuto il placebo. Ma si tratta di un dato difficile da interpretare, ammettono gli autori, per la stessa esistenza di una risposta basale in termini di anticorpi anti beta-amiloide nei partecipanti. Parimenti sono aumentati alcuni biomarcatori amiloidi in chi aveva ricevuto il vaccino, suggerendo quello che i ricercatori chiamano tecnicamente un “target engagement” (termine con cui in ambito di ricerca farmacologica ci si riferisce alle interazioni con le molecole target, in questo caso i prodotti amiloidi).

Nessuna differenza è stata invece osservata in generale per gli aspetti clinici e cognitivi tra gruppi trattati e  placebo (anche se questo potrebbe essere dovuto alla durata limitata dello studio o all’età, bassa, dei partecipanti).



www.repubblica.it 2022-05-09 15:55:45

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