Vaccini Covid, su immunodepressi la risposta è più bassa. Bambino Gesù: “Strategia pe…


Non possono fare a meno di vaccinarsi contro il Covid-19, ma le loro condizioni di particolare fragilità fanno diminuire l’efficacia della protezione. Accade ai pazienti immunodepressi e non soltanto su quelli anziani. Ora ben cinque studi dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù rivelano che questo gap della copertura vaccinale riguarda anche i soggetti fragili di età compresa tra i 12 e i 25 anni. L’ultimo studio, su bambini e ragazzi affetti da infezione perinatale da Hiv, è stato appena pubblicato sulla rivista Clinical Infectious Diseases.

I 5 studi Convers

Non sempre la giovane età è sinonimo di forza e salute. La classificazione di ‘soggetto fragile’ può arrivare anche da bambini o adolescenti quando si viene colpiti da una grave malattia e si diventa immunodepressi. Per capire meglio cosa succede ai giovani fragili, i ricercatori dell’Unità di ricerca di Immunologia Clinica e Vaccinologia del Bambino Gesù hanno condotto cinque studi denominati Convers su 165 pazienti di età compresa tra i 12 e i 25 anni. Gli studi sull’efficacia dei vaccini anti-Covid (alcuni dei quali già pubblicati nel 2021) sugli immunodepressi sono stati condotti dai ricercatori su 5 diverse categorie di bambini e ragazzi: 21 affetti da immunodeficienza primitiva, 34 trapiantati di cuore/polmone, 30 con malattia infiammatoria cronica intestinale, 40 con Sindrome di Down e 40 con infezione perinatale da Hiv.

Studiare la risposta al vaccino

Nei vari gruppi è stata analizzata la risposta alle prime due dosi del vaccino Pfizer, sia quella sierologica (cioè la quantità di anticorpi presenti nel sangue) che, in 3 dei 5 gruppi, quella cellulare (ovvero la presenza di linfociti T specifici contro il Sars-CoV-2 e, nel caso dei trapiantati di fegato e rene, dei linfociti B). I dati sono stati poi confrontati con quelli di gruppi di controllo composti da persone sane, sottoposte alla vaccinazione anti-Covid nello stesso periodo. Tutti e 5 gli studi sono stati svolti in collaborazione con il Dipartimento di Medicina Diagnostica e di Laboratorio e hanno confermato la sicurezza dei vaccini anti-Sard-CoV-2 anche per quanto riguarda i pazienti fragili: dopo la somministrazione delle dosi sono stati registrati solo effetti collaterali transitori e di lieve entità.

Meno anticorpi e linfociti contro Sars-Cov-2

Dai 5 studi emerge che, anche se la maggior parte dei bambini immunodepressi risponde al vaccino lo fa in misura generalmente minore rispetto ai soggetti sani (meno anticorpi e meno linfociti specifici contro il Sars-CoV-2) e con delle differenze da gruppo a gruppo, mentre una percentuale minoritaria di soggetti – particolarmente immunocompromessi – non sviluppa alcuna forma di immunità al virus. “La maggior parte dei soggetti immunodepressi – spiega Paolo Palma, responsabile di Immunologia Clinica e Vaccinologia dell’Ospedale della Santa Sede – risponde al vaccino ma in misura minore rispetto ai soggetti sani, con delle differenze da gruppo a gruppo, mentre una percentuale minoritaria non sviluppa purtroppo alcuna forma di immunità al virus. Per questi pazienti fragili è importante intervenire con una strategia vaccinale di rinforzo e personalizzata”.

I risultati sui pazienti con Hiv e malattia infiammatoria cronica

Nel dettaglio, per quanto riguarda l’indagine sui pazienti con infezione perinatale da Hiv l’analisi sierologica ha rilevato che il 100% dei ragazzi ha sviluppato anticorpi specifici per Sars-Cov-2, ma significativamente inferiori rispetto al dato medio del gruppo di controllo. L’analisi cellulare ha invece rilevato nell’89% dei casi una mancanza di espansione di linfociti T specifici a causa della condizione infiammatoria di base tipica dell’Hiv e della capacità da parte del sistema immunitario del paziente di controllarla. Se la cavano meglio i soggetti con malattia infiammatoria cronica. In questo caso, l’analisi sierologica ha mostrato una buona risposta, comparabile al gruppo di controllo. Tuttavia, nei pazienti che utilizzano farmaci anti-TNF, degli anticorpi monoclonali per il trattamento di questa patologia, la risposta sierologica si è rivelata inferiore in media del 43% rispetto al gruppo con regimi terapeutici immunosoppressivi senza anti-TNF. In questi pazienti la causa della minore efficacia dipende quindi dalla terapia che seguono.

Chi ha la Sindrome di Down risponde come un over 65

Nel gruppo dei pazienti con Sindrome di Down, i ricercatori hanno rilevato in tutti i pazienti una risposta sierologica, ma comparabile a quella degli adulti di età superiore ai 65 anni. Quindi molto inferiore rispetto ai pari età sani. Un problema legato all’invecchiamento precoce del sistema immunitario tipica di questa sindrome.

È andata peggio ai pazienti con immunodeficienza primitiva: l’analisi sierologica ha rilevato che il 14% dei ragazzi non ha sviluppato anticorpi. Sul restante 86% è stata riscontrata una buona risposta anticorpale, ma comunque inferiore al dato medio del gruppo di controllo. L’analisi cellulare ha invece rilevato l’assenza dei linfociti T specifici nel 24% dei soggetti. Le ragioni della minore efficacia in questi soggetti sono da ricercare nel malfunzionamento del sistema immunitario tipico di questa patologia.

Il 31% dei trapiantati non ha sviluppato anticorpi

Infine, lo studio sui bambini sottoposti a trapianto di cuore e polmone ha rivelato come il 31% non abbia sviluppato anticorpi. Sul restante 69% è stata registrata una risposta anticorpale, ma a livelli significativamente inferiori a quelli del gruppo di controllo. Anche sul fronte dell’analisi cellulare, l’indagine ha evidenziato un mancato incremento di linfociti T Sars-CoV-2 specifici nel 31% dei pazienti.

Strategie vaccinali personalizzate

Cosa significano questi risultati in termini pratici? Secondo gli esperti del Bambin Gesù, sono necessari ulteriori studi per comprendere a fondo i meccanismi biologici responsabili della minore risposta vaccinale. Questo permetterà di intervenire in maniera personalizzata per ogni gruppo di bambini fragili.

“La strategia vaccinale va adattata alle specificità di ogni gruppo di pazienti”, spiega Palma. “Alcuni gruppi rispondono meglio a una vaccinazione eterologa, altri hanno bisogno di una formulazione specifica, altri ancora devono rimodulare i trattamenti a cui sono sottoposti e che influiscono negativamente sull’efficacia della vaccinazione. In attesa di individuare le migliori strategie vaccinali restano fondamentali le dosi aggiuntive che garantiscono comunque una valida forma di protezione in queste categorie di pazienti. La minore efficacia degli attuali vaccini anti-Sars-CoV-2 nelle diverse tipologie di soggetti fragili conferma, inoltre, l’importanza della vaccinazione sia dei loro caregivers che della popolazione in generale”. Proprio di vaccinazione nei pazienti fragili si occuperà la quarta conferenza internazionale sulla vaccinazione di precisione (IPVC) che si terrà dal 5 al 7 ottobre 2023 a Roma, per la prima volta in Italia, e che sarà ospitata dal Bambino Gesù in collaborazione con l’Università di Harvard ed il Boston Children’s Hospital.



www.repubblica.it 2022-07-13 09:01:04

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