Prove di terapia genica “on-demand” contro l’epilessia


Una terapia genica mirata e on-demand contro l’epilessia, capace di entrare in azione solo dove e quando serve, calmando le cellule nervose impazzite. È l’idea sviluppata da un team di ricercatori dell’University College London, tra cui anche l’italiano Gabriele Lignani, professore associato presso l’ateneo britannico. Testata per ora con successo nei topi usati come modello dell’epilessia, in futuro, azzardano i ricercatori su Science, lo stesso principio potrebbe essere applicato anche per trattare altre patologie, dal Parkinson alla schizofrenia.

 

La terapia genica per le forme resistenti

La terapia genica per l’epilessia non mira oggi a diventare il trattamento per la malattia: nella gran parte dei pazienti i farmaci funzionano, ma appunto una quota di questi – si stima circa un terzo – è resistente ai trattamenti. Ma non per tutti è praticabile la strada dell’intervento chirurgico o delle stimolazioni cerebrali, come alternative. Un’altra opzione all’orizzonte potrebbe essere rappresentata dalla terapia genica, una terapia avanzata che mira tradizionalmente a correggere i difetti genetici alla base di una malattia, fornendo le istruzioni geniche corrette. In questo caso però la logica è un pochino diversa: la terapia genica contro l’epilessia potrebbe funzionare modulando l’eccitabilità dei neuroni, portando al loro interno qualcosa (un pezzetto di DNA e quindi la relativa proteina prodotta) capace di modificare il comportamento della cellula, nel dettaglio “calmandola”, spiegano i ricercatori.

Terapia mirata e on-demand

L’idea del team di Lignani, coordinatore dello studio, è stata quella di trovare un modo per farlo in maniera selettiva, ovvero colpendo solo le cellule interessate dall’anormale attività neuronale, risparmiando le altre. “Il carattere più innovativo del nostro studio è la possibilità di indirizzare la terapia genica ai neuroni da trattare, solo a quelli che ne hanno bisogno e solo quando ne hanno bisogno”, spiega a Salute. Un approccio reso possibile dalle particolari dinamiche che regolano l’espressione del gene usato nel loro studio, continua Lignani: “La nostra terapia genica è fatta di due parti: un promotore, ovvero una regione che regola l’espressione genica e che si attiva quando c’è troppa attività neuronale, e un gene da questo regolato che codifica per un canale del potassio e che diminuisce l’attività dei neuroni”. In questo modo la terapia genica – veicolata tramite un virus reso innocuo direttamente a livello del cervello, nelle aree interessate dalle crisi, con un ago sottilissimo – entra in azione solo nei neuroni interessati dalle anomalie di attività e solo quando queste anomalie si presentano. Testato su neuroni umani e sui topi, questo approccio riesce a ridurre fino all’80% delle crisi epilettiche spontanee, aiutando anche a prevenirle, riducendo l’attività dei neuroni interessati prima che si manifestino le crisi vere e proprie, spiega Lignani. “I test di sicurezza condotti finora non hanno evidenziato criticità, e i test comportamentali e cognitivi non hanno mostrato alterazioni nei topi”. Anche l’uso del vettore virale, già impiegato in altre sperimentazioni cliniche per malattie neurologiche, ricorda il ricercatore, non appare problematico.

Le prospettive future

I prossimi passi ora saranno l’estensione degli studi anche su modelli animali diversi dai topi, continuando con i test di sicurezza, tossicità ed efficacia. La speranza, confida Lignani, è di avviare una sperimentazione clinica nei prossimi cinque anni, e non solo: “L’epilessia non è l’unica patologia in cui potremmo applicare questo approccio di terapia genica: cambiando i promotori e i geni usati, possiamo immaginare di adattarla per essere testata in tutte quelle patologie, come Parkinson, schizofrenia o emicrania, in cui si hanno episodi con un aumento dell’attività di alcune cellule nel cervello”.



www.repubblica.it 2022-11-03 18:22:30

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