Anteprima Rapporto Oasi-Bocconi 2022. Sul Ssn troppe narrazioni e poche evidenze, ecc…


di Lucia Conti

Per i ricercatori del Cergas della Bocconi, le crescenti divaricazioni tra narrazioni ed evidenze nel Ssn si spiegano con “la scarsa attitudine a impostare il dibattito a partire da solide evidenze quantitative e ad evitare i wicked problem, ovvero le criticità più profonde e rilevanti”. In questo contesto, si è inoltre creato uno spazio indefinito a livello decentrato che apre a un aumento dell’autonomia implicita per il management delle aziende sanitarie, con alcuni rischi e opportunità. Le riflessioni nel Rapporto Oasi 2022 che sarà presentato domani a Milano

14 NOV

In medicina si segue l’evidenza. Questo è il principio guida di ogni scelta clinica. Lo stesso modello, però, andrebbe replicato in ogni contesto decisionale; invece così non sembra essere, neanche quando si parla di politiche sanitarie. È quello che pensano i ricercatori del Cergas (Centro Ricerche sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e sociale) Bocconi, oggi parte di Sda Bocconi School of Management, che su questo tema hanno incentrato il nuovo Rapporto OASI (Osservatorio sulle Aziende e sul Sistema sanitario Italiano).

Di seguito una sintesi del capitolo 1 dell’edizione 2022, a cura dei coordinatori dell’Osservatorio, Francesco Longo e Alberto Ricci che presentiamo in anteprima. Il Rapporto sarà presentato domani a Milano.

La sanità, spiegano i ricercatori, ha occupato la scena mediatica e politica durante la pandemia. Il Ssn ha ottenuto ingenti finanziamenti in conto capitale grazie al Pnrr. Sulla spinta dell’emergenza pandemica, ma anche di una apparente nuova sensibilità politica, è stato avviato un dibattito per ridefinire alcune policy fondamentali, come la riorganizzazione della rete territoriale dei servizi attraverso gli standard del DM 77, solo per fare un esempio. Questi processi di elaborazione, prima culturali e poi programmatori, prima generali e poi specifici, hanno generato “una narrazione potente sul Ssn”. Che tuttavia spesso “diverge dalle evidenze”. Una discordanza che alla fine ha posto delle priorità in agenda, non necessariamente corrette.

Quali sarebbero le vere priorità? Per i ricercatori del Cergas sono le gambe su cui deve poggiare l’intero sistema sanitario del paese.

La questione demografia, anzitutto. Spesso accennata ma mai approfondita. “Si osservano generici orientamenti alla chiusura all’immigrazione, probabilmente con scopi più strumentali che sostanziali, senza una riflessione sistematica sulle necessità demografiche del Paese”, scrivono i ricercatori del Cergas nel rapporto Oasi. Nel nostro Paese permane “una certa confusione tra politiche di contrasto alla povertà e di sostegno alla natalità” e alla fine il rilancio della natalità e le politiche familiari restano “un ambito secondario di intervento pubblico”, sicuramente anche per “un problema di risorse”.

Eppure, chiariscono i ricercatori, “le evidenze segnalano però il tema demografico ha grande rilevanza pubblica”. Stiamo per diventare sempre meno e sempre più vecchi. L’incidenza degli anziani è già arrivata al 24%, il rapporto tra lavoratori e titolari di pensione previdenziale e è già di dieci a sei, meno di due lavoratori per pensionato.

“L’aspirazione di tutti è di avere una pensione non troppo distante dal proprio ultimo stipendio. Storicamente, nel nostro Paese, l’assegno equivaleva all’80% dell’ultima retribuzione. L’aliquota previdenziale dei lavoratori dipendenti è del 33%. Tuttavia, se abbiamo meno di due lavoratori ogni pensionato, i contributi previdenziali per coprire l’assegno del singolo pensionato non raggiungono neanche il 66% della retribuzione media: evidentemente i conti già non tornano. Questo squilibrio determina un progressivo e sistematico drenaggio di risorse fiscali a favore della spesa pensionistica, erodendo nel tempo lo spazio per i servizi pubblici reali (scuola, trasporti, sanità, ecc.)”.

Un meccanismo micidiale, come è facile capire e come “traspare chiaramente leggendo con attenzione i documenti programmatici di finanza pubblica. La Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (NADEF) di novembre 2022 – spiega il Rapporto – prevede, tra 2021 e 2025, un aumento della spesa pensionistica di 69 miliardi, che assieme agli interessi passivi (+23 miliardi) è destinata ad assorbire il 90% dell’aumento delle spese totali dello Stato (+103 miliardi). La previsione di aumento della spesa sanitaria è invece di soli due miliardi, peraltro in riduzione rispetto al picco di spesa previsto nel 2022”.

Fondo sanitario e crescente disallineamento tra attese sui servizi e risposte è un altro ambito critico evidenziato nel Rapporto Oasi. “Durante il Covid vi è stata la percezione collettiva che le risorse di parte corrente del Ssn fossero in aumento: dai 120 miliardi del 2019 ai 127 del 2020 fino ai 130 del 2022”, spiegano i ricercatori. “Il crollo del Pil del 2020, dovuto alla pandemia – aggiungono -ha portato al 7,2-7,3% l’incidenza della spesa Ssn sull’economia nazionale, dando un’ulteriore sensazione di osservare un servizio pubblico in espansione”.

Durate la pandemia si è registrato anche a un certo dinamismo nell’assunzione del personale: “Nel SSN, tra marzo 2020 e aprile 2021 si sono registrati 83.180 nuovi contratti”. Inoltre, “l’offerta di alcuni setting di cura è stata evidentemente ampliata, a cominciare da terapie intensive e centri vaccinali”. Un quadro davvero espansivo, insomma. Tanto che, per i ricercatori del Cergas, “queste dinamiche hanno dato la sensazione di arrivare finalmente a un finanziamento congruo del Ssn, in avvicinamento agli standard degli altri grandi Paesi europei”. È stato quindi naturale che ci fosse un aumento delle aspettative verso il Ssn. Anche in questo caso, tuttavia, si è trattato principalmente di narrazione.

Infatti, spiegano i ricercatori del Cergas, i dati più recenti e le previsioni più accreditate dipingono uno scenario molto diverso. “L’incidenza della spesa Ssn sul Pil è prevista in lieve discesa al 7,1% nel 2022 e al 6,1% nel 2025 (NADEF, 2022). La distanza tra la sanità pubblica italiana e quella di Francia e Germania, che durante la pandemia hanno oltrepassato la soglia del 10% del PIL, è quantomeno invariata, se non crescente, disallineando fatti da aspettative collettive. Abbiamo una spesa pubblica, che in termini percentuali, al 2020, è su livelli intermedi tra Portogallo (6,8%) e Spagna (7,8%), ma le attese generate nella popolazione sono quelle di un sistema centro europeo”.

Quanto all’aumento di personale, “è stato in parte dovuto a contratti a temine, stipulati, per esempio, con medici specializzandi o pensionati, mentre gli ingressi stabili sono stati in buona parte compensati dalle uscite per pensionamenti, dovuti all’elevata età media dei dipendenti Ssn. Tutto ciò ha ridotto notevolmente la portata delle nuove assunzioni: a fine 2020 il personale della sanità pubblica era effettivamente aumentato di 15.000 unità, corrispondente a un +2,3% rispetto al 2019”.

Anche l’aumento di alcuni setting assistenziali è stato un abbaglio: “Era ampiamente correlato al contrasto del Covid, ma si prospetta di scarsa utilità nel momento in cui le priorità del sistema cambiano. Il tasso di copertura dei bisogni dei pazienti non Covid è ulteriormente sceso con liste di attese ancora più lunghe sia per i ricoveri, sia per l’attività ambulatoriale. La spesa privata ha recuperato velocemente il calo de 2020: i valori 2021 (692 euro procapite) segnalano anzi in leggero aumento rispetto al 2019 (684 euro)”.
“Questa contraddizione, tanto logica quanto poco narrata all’opinione pubblica” ha tuttavia generato “un sovraccarico strategico sulle direzioni generali delle aziende, nell’impossibile tentativo di allineare risorse ad attese”.

Il Pnrr non poteva certo mancare nel rapporto Oasi. Sono mesi che, da più parti, si esprimono dubbi sul Piano nazionale di ripresa e resilienza. Dubbi più che legittimi, per il ricercatori del Cergas. “I 16 miliardi del PNRR a cui si aggiungono 4 miliardi di fondi complementari destinati alla sanità sono stati comunicati come un ingente investimento in conto capitale per espandere e innovare tecnologicamente l’offerta del Ssn. L’opinione pubblica si attende un aumento delle infrastrutture del Ssn, con l’introduzione di nuovi setting, come Case e Ospedali della Comunità, nuovi format di servizio, come le tele-visite, e nuove figure professionali, come gli infermieri di famiglia e comunità.

I dati delineano purtroppo una realtà diversa”, si legge nel Rapporto. I ricercatori argomentano, dunque, le loro ragioni: “Venti miliardi di investimenti in 6 anni, dunque 3,3 miliardi all’anno, a ben vedere, non sono così generosi in un sistema che ha 130 miliardi di spesa sanitaria corrente all’anno. Si tratta di un 3%, una cifra abbastanza modesta considerando l’età media delle infrastrutture e delle tecnologie installate”.

Nei fatti, secondo i ricercatori del Cergas, i finanziamenti del Pnrr non potranno espandere il sistema, ma al limite a riorganizzarlo. Dovranno, dunque, “favorire la riallocazione delle risorse a fronte di bisogni in aumento”. E i processi riallocativi veicolati dal Pnrr, si prospettano “complessi e politicamente dolorosi, soprattutto a livello locale”. A titolo d’esempio, per i ricercatori alcune riflessioni andranno fatte “sui 120 ospedali a gestione diretta che hanno meno di 50 posti letto, pari al 21% del totale”. Oppure, “sulle unità operative che non raggiungono le casistiche minime per le discipline o le prestazioni di riferimento”.

Evidente, poi, il problema riguardante il personale. “Soprattutto con riferimento alle professioni sanitarie, le previsioni del personale necessario per popolare di attività i nuovi setting erogativi” previsti dal Pnrr “superano le 32mila unità, corrispondenti al 10% di tutto il personale infermieristico operante nelle strutture pubbliche e private del Ssn alla vigilia della pandemia. Si tratta di standard largamente irrealistici senza immaginare una riduzione di altre attività sanitarie oppure senza prevedere un’intensità assistenziale media ridotta, soprattutto nel caso dell’Adi”, sottolineano i ricercatori.

In questo contesto, sottolineano gli esperti del Cergas, “gli indirizzi lasciano al management la responsabilità di identificare l’allocazione delle risorse umane e quindi, di fatto, le priorità di attivazione dei nuovi setting previsti. Allo stesso modo, i documenti programmatori nazionali non chiariscono la relazione tra le infrastrutture erogative territoriali esistenti e quelle nuove: sono aggiuntive, sostitutive o l’occasione per razionalizzare la rete di offerta, anche per concentrare il poco personale disponibile?”.

È tra queste pieghe e quesiti che, per i ricercatori del Cergas, si aprono spazi di autonomia al management aziendale, “che saranno più ampi che in passato: i piani di lavoro e decisionali si sono moltiplicati, affiancando alla gestione ordinaria delle attività il tema vasto e strategico dell’innovazione dei servizi e della creazione di nuovi setting erogativi”.

In un simile quadro, piuttosto caotico, si pone un’altra questione, quella dell’equità di assistenza tra le diverse regioni. Il Pnrr e il DM 77 sono stati impostati proprio con la logica di definizione di standard nazionali per promuovere l’allineamento tra regioni. Tuttavia, per i ricercatori del Cergas, “gli enormi spazi di indeterminatezza delle politiche nazionali, in particolari sul ridisegno dei servizi, sulla riprogettazione dei processi di lavoro e di interdipendenza inter-professionale, sullo sviluppo di competenze, rendono probabile una maggiore divergenza tra i sistemi regionali. La radice è il differenziale di competenza e capacità di progettazione e implementazione dell’innovazione. È probabile che i gap vengano ampliati, soprattutto laddove il cambiamento richiesto è particolarmente complesso e sofisticato”.

Sullo sfondo di quanto appena detto, si sviluppa un nuovo interrogativo: i nuovi servizi genereranno nuove competenze o le nuove competenze genereranno nuovi servizi? “Il Pnrr, allocando la maggior parte delle risorse su investimenti infrastrutturali, assume la prima ipotesi e la veicola”, si legge sul Rapporto. Ma il team di esperti del Cergas, “consapevole della necessità di entrambi i vettori di cambiamento, invoca una maggiore attenzione alle competenze, che in sanità, probabilmente, sono più determinanti dei muri. Questo è vero soprattutto laddove l’innovazione riguarda i processi assistenziali: la stratificazione, la sanità di iniziativa, la presa in carico, le cure di transizione, la telemedicina, l’intelligenza artificiale”.

Molte ancora le questioni affrontate nell’ampio Rapporto Oasi. Quanto accennato in questa sintesi espone però già chiaramente il punto: c’è una narrazione che diverge dalle evidenze, e un ventaglio di questioni che pongono davanti agli occhi più incertezze che soluzioni. Cosa ci aspetta, dunque? “Fisiologicamente – per i ricercatori del Cergas -, in uno scenario dove sono divergenti i trend tra bisogni e risorse, dove la narrazione collettiva è inconsistente e consolatoria, lo spazio di azione per il management cresce, dovendo determinare ciò che collettivamente è lasciato ampiamente indeterminato e inconsapevole”. Ecco come, per Francesco Longo e Alberto Ricci, il management deve preparasi ad affrontare questa grande responsabilità sociale.

Lucia Conti

14 novembre 2022
© Riproduzione riservata


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www.quotidianosanita.it 2022-11-14 07:35:00

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