Dal glioma alla leucemia, i test molecolari vanno eseguiti alla diagnosi di tumore


Un test molecolare svolto fin da subito, al momento della diagnosi, permette di migliorare notevolmente la sopravvivenza di chi soffre di alcuni tumori rari e difficili da trattare. Parliamo di gliomi di basso grado (una neoplasia del cervello), colangiocarcinomi, e leucemia mieloide acuta, che possono essere portatori di una mutazione del gene IDH1 contro cui sono disponibili terapie mirate che si rivelano particolarmente efficaci se somministrate precocemente. Da qui, l’appello a somministrare i test molecolari fin dal momento della diagnosi, lanciato dalla Fondazione per la Medicina Personalizzata (FMP) nel corso di un evento sul ruolo oncogenico delle mutazioni IDH, realizzato con il contributo non condizionante del Gruppo Servier in Italia.

Il modello mutazionale

A rendere sempre più importante la profilazione molecolare precoce dei tumori – hanno spiegato gli esperti – sono i progressi fatti negli ultimi anni dall’oncologia di precisione, grazie ai quali sempre più spesso è proprio la firma molecolare delle neoplasie a guidare la scelta della terapia. “Nel modello istologico l’indicazione terapeutica si basava sulla sede del tumore, in quello mutazionale deriva dalla profilazione genomica – spiega Paolo Marchetti, Presidente della Fondazione per la Medicina Personalizzata – Si afferma un nuovo paradigma terapeutico, nel quale la firma genomica supera il valore della sola caratterizzazione istologica. Ad esempio, i geni IDH sono frequentemente mutati in neoplasie rare come i gliomi a basso grado, il colangiocarcinoma e la leucemia mieloide acuta e possono costituire i bersagli di terapie mirate che, inattivando queste proteine mutate, bloccano anche la proliferazione delle cellule malate”.

Il caso del glioma

Per alcuni di questi tumori, il cambiamento portato dall’oncologia di precisione è radicale. Un esempio è il glioma, che fa registrare ogni anno in Italia circa 3.000 nuovi casi. Il 20% è costituito dai gliomi di grado 2, cioè di basso grado, che sono più frequenti nei giovani fra i 20 e i 40 anni. Queste neoplasie cerebrali hanno una crescita lenta ma, con il passare degli anni, possono diventare più aggressive. La chirurgia è il trattamento di scelta, a cui segue, anche per anni, l’osservazione della malattia, per poi passare alla chemioterapia e radioterapia se il tumore diventa più aggressivo.

“Per 20 anni, le terapie successive alla chirurgia sono rimaste identiche, costituite cioè da chemioterapia e radioterapia – evidenzia Andrea Pace – Responsabile della Neuroncologia dell’IRCCS Istituto Tumori Regina Elena di Roma – Oggi il cambiamento è radicale. L’analisi molecolare, infatti, ha consentito di evidenziare la presenza di mutazioni genetiche anche nei tumori cerebrali. Quando la proteina IDH1 è mutata, avvia il meccanismo di crescita tumorale. Ed è stato dimostrato che può costituire il bersaglio di terapie mirate. Lo studio INDIGO, pubblicato sul New England Journal of Medicine, ha convolto circa 330 pazienti con gliomi di grado 2 non aggressivi che si erano sottoposti all’intervento chirurgico ma non a chemioterapia e radioterapia. Vorasidenib, inibitore di IDH, ha più che raddoppiato la sopravvivenza libera da progressione rispetto alla sola osservazione: 27,7 mesi contro 11,1. È fondamentale, come stabilito dalla classificazione dell’OMS, che in ogni paziente, al momento della diagnosi, sia eseguita l’analisi molecolare”.

Il caso del colangiocarcinoma

Le mutazioni di IDH1 sono presenti anche in circa il 20% dei casi di colangiocarcinoma (nella forma intraepatica). “I recenti progressi nel campo della profilazione molecolare e nel sequenziamento genico hanno evidenziato, anche in questa neoplasia, alterazioni genetiche, che possono rappresentare nuovi target terapeutici – sottolinea Andrea Casadei Gardini, Oncologo dell’Unità Operativa di Oncologia Medica dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e Professore Associato di Oncologia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano – Il 45% dei pazienti con colangiocarcinoma presenta un’alterazione genetica potenzialmente ‘actionable’, cioè bersaglio di terapie mirate. Le più frequenti nelle forme intraepatiche sono le mutazioni di IDH1, presenti in circa il 20% dei casi, e le traslocazioni di FGFR2, rilevabili nel 10%”. Ivosidenib è oggi il primo inibitore mirato di IDH1 approvato in Europa per i pazienti con colangiocarcinoma localmente avanzato o metastatico con mutazione IDH1, precedentemente trattati con almeno una linea di terapia sistemica. E lo studio ClarIDHy ha evidenziato una riduzione del rischio di progressione di malattia del 63%, risultato confermato anche in uno studio real world.

Il caso della leucemia mieloide acuta

La profilazione molecolare è una parte fondamentale della diagnosi anche nella leucemia mieloide acuta, un tumore del sangue che colpisce ogni anno in Italia circa 2.100 persone, con una sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi che oggi è di circa il 30%. “È una malattia ematologica tra le più insidiose e difficili da trattare, che richiede cure tempestive – spiega Maria Teresa Voso, Professore Ordinario di Ematologia all’Università Tor Vergata e Responsabile del laboratorio di Diagnostica Avanzata Oncoematologica del Policlinico Tor Vergata di Roma – I pazienti anziani o fragili non sono in grado di tollerare la chemioterapia intensiva standard, seguita dal trapianto allogenico di cellule staminali, se indicato. I progressi nel campo dell’analisi molecolare e del sequenziamento del DNA hanno permesso di identificare mutazioni genetiche ricorrenti, non rilevabili con i test citogenetici standard. Le Linee Guida internazionali raccomandano l’esecuzione dei test genetici al momento della diagnosi in tutti i pazienti. Fino al 50% presenta almeno una mutazione potenzialmente ‘actionable’ per una terapia mirata. Le mutazioni a carico dei geni IDH sono tra le più comuni: quelle di IDH1 sono presenti in circa il 10% dei casi, quelle di IDH2 nel 10-15%”. La Commissione Europea ha infatti approvato ivosidenib in associazione con un agente ipometilante, azacitidina, per il trattamento di pazienti adulti con leucemia mieloide acuta di nuova diagnosi con mutazione di IDH1, che non sono idonei a ricevere la chemioterapia di induzione standard. Nello studio AGILE, pubblicato sul New England Journal of Medicine, la terapia mirata con ivosidenib in combinazione con azacitidina in prima linea ha triplicato la sopravvivenza globale mediana rispetto a placebo e azacitidina, 2 anni contro 7,9 mesi.

Fondamentali i Molecolar Tumor Board

“Oggi vi è una crescente disponibilità di test di profilazione genomica estesa, con pannelli che possono esaminare anche 500 geni con un singolo esame – conclude Marchetti -. L’analisi e l’interpretazione dei risultati della profilazione genomica, nonché l’individuazione di potenziali trattamenti mirati, richiedono competenze multidisciplinari. È quindi fondamentale istituire i Molecular Tumor Board, nei quali sono coinvolte competenze provenienti da diverse aree, quali l’oncoematologia, l’anatomia patologica, la genetica medica, la biologia molecolare, la farmacologia clinica, la farmacia ospedaliera e altre figure professionali”.



www.repubblica.it 2024-05-16 10:19:05

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