Salute del cuore, sei ricoveri su dieci legati allo scompenso cardiaco


In Italia ne soffrono circa 600mila persone, e la sua prevalenza raddoppia a ogni decade di età: dopo i 65 anni più arrivare al 10% circa. È un disturbo che provoca il 60% dei ricoveri cardiologici, ha una prognosi comparabile a quella dei tumori gravi e rappresenta una voce di costo sempre più importante per il Servizio sanitario nazionale. Parliamo dello scompenso cardiaco, che i clinici descrivono ormai come un’epidemia: a valutare la situazione, tracciando i contorni dello scenario attuale e delineando le prospettive future, è stata un’équipe di esperti siciliani, provenienti dalle unità operative di diversi ospedali della regione, tra cui il Giovanni Paolo II di Ragusa, tra le strutture di eccellenza per la cardiologia, nel corso della presentazione della Sicilian Cardiovascular Academy, un modello di condivisione delle best practice, delle competenze e delle tecnologie, che i clinici sperano di poter estendere un giorno a tutto il paese.

L'”epidemia” di scompenso cardiaco

Come dicevamo, lo scompenso cardiaco rappresenta una malattia estremamente rilevante la cui prevalenza aumenta con l’età: in Europa la prevalenza di scompenso cardiaco è valutata a 1,36% tra 25 e 49 anni, a 2,93% tra 50 e 59 anni, a 7,63% tra 60 e 69 anni, a 12,67% tra 70 e 79 anni e a 16,14% oltre gli 80 anni, con una stima nella popolazione generale tra lo 0,4 e il 2%, mentre la mortalità è in aumento. Coinvolge vari apparati, tanto che oltre il 90% dei pazienti è affetto da altre comorbidità, che possono essere respiratorie, diabetiche, nefrologiche, neurologiche: il 30% dei pazienti con scompenso, ad esempio, ha anche la broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco). È pertanto opportuno che questi pazienti vengano gestiti con un approccio multidisciplinare.

Per fortuna c’è la tecnologia

I nuovi trattamenti farmacologici già da qualche anno hanno permesso un notevole miglioramento nella qualità di vita del paziente con scompenso cardiaco, costringendolo però a una politerapia a cui non sempre riesce a essere aderente. In supporto intervengono le nuove tecnologie, che possono aiutare a prevedere, e quindi a evitare, i picchi a cui va incontro il paziente, riducendone la sopravvivenza. “I device che vengono impiantati hanno ridotto la mortalità grazie alla tecnologia wireless o bluetooth incorporata nei software, la quale permette, oltre che di identificare le aritmie e di trattarle tempestivamente, di cogliere i primi segnali di scompenso, anticipando così le riacutizzazioni con benefici per la qualità di vita del paziente – ha sottolineato Antonino Nicosia, direttore del dipartimento cardio-neuro-vascolare al già citato Giovanni Paolo II di Ragusa – Il device resta tutta la vita, con la batteria che dura 8-10 anni, e consente di telemonitorare il paziente a domicilio analizzando a distanza la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa, la saturimetria in vari momenti e valutando così l’andamento della terapia. Questo permette di convocarlo in ospedale solo per reali necessità o controlli, senza accessi inutili. Il rischio di una riacutizzazione dello scompenso cardiaco può essere previsto anche con un anticipo di diverse settimane. Vi sono poi i dispositivi indossabili, che sono già a disposizione per coloro che non hanno necessità di un device impiantato: i risultati non sempre sono stati soddisfacenti, ma vi è un crescente utilizzo e con la digitalizzazione della popolazione si diffonde una maggiore consapevolezza di questi strumenti”.

Una piattaforma condivisa

Per favorire la condivisione delle competenze e delle tecnologie, le quattro Unità Operative di Cardiologia della Sicilia orientale (Catania, Messina, Ragusa, Siracusa) hanno appena presentato la Sicilian Cardiovascular Academy, un modello estensibile ad altre realtà regionali che prevede la messa in rete di know-how e strumenti, con il fine ultimo di offrire a ogni paziente la migliore prestazione possibile; parallelamente, si punta alla formazione continua del personale sanitario (clinico, chirurgico, tecnico, infermieristico). Un modello di best practice che i clinici non vedono l’ora di mettere alla prova.



www.repubblica.it 2024-05-17 09:12:33

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