La cura anti obesità allargata anche ad altre malattie croniche



Novo Nordisk è nel bel mezzo del rifacimento di se stesa e quest’anno spende più di 6 miliardi di dollari per espandere la produzione, quasi quattro volte l’importo speso solo due anni fa. Il cuore della crescita è la semaglutide, noto come Glp-1, che nelle due versioni a dosaggi diversi (Ozempic e Wegovy) viene impiegata nel diabete di tipo2 e nell’obesità. Ma sono sempre di più le evidenze che la molecola rappresenti il filo rosso che lega anche altre malattie croniche. Ozempic ha infatti ottenuto un’altra vittoria in uno studio clinico: il blockbuster di Novo Nordisk ha ridotto del 20% il rischio di morte nei pazienti con diabete di tipo 2 e malattia renale cronica. Ha ridotto i decessi cardiovascolari del 29% e ha ridotto il rischio di complicanze cardiache oltre il 18%. Dati che suggeriscono che questi farmaci Glp-1 potrebbero offrire vantaggi rispetto ad altre classi di farmaci. E come per Wegovy, la versione Glp-1 focalizzata sull’obesità , ha recentemente ottenuto l’approvazione per la riduzione del rischio cardiovascolare, Novo prevede di ottenere l’approvazione della Fda per espandere l’uso di Ozempic per il trattamento della malattia renale cronica. Ma l’azienda sta portando avanti test anche nell’insufficienza cardiaca, nella malattia epatica associata a disfunzione metabolica (Mash) e nell’Alzheimer.

«Stiamo grattando la superficie dell’iceberg della nostra conoscenza sull’obesità e anche della semaglutide – ha detto Marcus Schindler, Executive Vice President & Chief Scientific Officer di Novo Nordisk – Abbiamo aperto un centro di ricerca solo per Glp-1 per capire di più le potenzialità di questa molecola. Inoltre con lo studio Select abbiamo dati su 17600 pazienti, una pletora di informazioni da anlizzare anche attraverso l’intelligenza artificiale per arrivare a nuove terapie. In pratica, abbiamo un biglietto d’ingresso per lavorare dopo il diabete e obesità anche sulle malattie cardiovascolari. In particolare siamo interessati all’aterosclerosi e allo scompenso cardiaco».

Tra i progetti a lungo termine, la farmaceutica danese sta lavorando anche sulle malattie croniche del fegato e dei reni. «Si tratta di malattie interconnesse con le precedenti – continua Schindler – questi organi sono tutti collegati e comunicano tra loro, infatti molti pazienti che soffrono di diabete, obesità e malattie cardiovascolari soffrono anche di queste malattie».

Per quanto riguarda l’Alzheimer, l’ ipotesi è che il meccanismo antinfiammatorio della semaglutide possa portare benefici ai piccoli vasi sanguigni nel cervello ed essere d’aiuto nella lotta contro questa malattia. I primi dati della ricerca in corso arriveranno entro un anno. «L’Alzheimer è stato definito il diabete di tipo 3 – riprende Schindler – Secondo alcuni insorge dopo aver avuto il diabete di tipo 2 per molto tempo. È ancora presto, ma vedremo se avremo successo anche qui».

Nel breve termine, invece, l’azienda non perde di vista il focus sul diabete. E con 100 anni di storia sulla malattia intendono usare questa eredità per essere ancora alla guida dell’innovazione. Questa settimana l’Ema ha dato il via libera a icodec, la prima insulina a lento rilascio settimanale al mondo di Novo per il diabete 1, che ha già avuto lo scorso marzo parere positivo dal Comitato per i medicinali per uso umano (Chmp). Ma per l’azienda la terapia del diabete va oltre la gestione del glucosio e continua a lavorare sulle insuline di nuova generazione. Tre le direttrici: l’insulina “intelligente” «che agisce sulla base dei livelli di glucosio nel sangue in autonomia, ovvero si attiva quando è necessario e rimane silente quando non lo, eliminando i pensieri di monitoraggio pazienti – spiega Schindler – Stiamo lavorando anche sull’insulina termostabile, che non necessita della conservazione in frigorifero, ma vogliamo arrivare anche a una cura definitiva del diabete, la sfida è sviluppare le cellule beta del pancreas che mimano o sostituiscono quelle naturali carenti o mancanti». E anche sull’obesità, Novo sta studiando soluzioni in cui i pazienti potrebbero essere trattati meno frequentemente e/o mantenere la perdita di peso molto tempo dopo la fine del trattamento. «E se potessimo pensare ai farmaci per l’obesità come a un vaccino una volta all’anno?» chiosa Schindler.



www.ilsole24ore.com 2024-05-29 11:50:46

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