Asco 2024: chi sono i 7 ricercatori italiani premiati con i Merit Award


Inizia domani il Congresso dell’American Society of Clinical Oncology (Asco), l’evento più importante nell’ambito dell’oncologia medica e uno degli appuntamenti più attesi è il conferimento ogni anno dei Merit Awards, un riconoscimento prestigioso per studenti e ricercatori che si distinguono per il loro contributo innovativo nel campo della ricerca oncologica. Quest’anno, Conquer Cancer ha selezionato ben 138 eccezionali destinatari di questi premi, evidenziando i loro straordinari progressi e le ricerche all’avanguardia che stanno plasmando il futuro delle cure contro il cancro. Per il loro impegno riceveranno 1.000 dollari e avranno l’opportunità di presentare i loro abstract durante la cerimonia di premiazione che si svolge in concomitanza con il Congresso mondiale di oncologia dal 31 maggio al 4 giugno a Chicago. Anche quest’anno l’Italia è ben rappresentata con sette giovani ricercatori che ci raccontano in anteprima su cosa stanno lavorando, perchè vengono premiati e cosa sognano per il loro futuro.

 

Antonio Marra, 33 anni

Un globetrotter della ricerca Antonio Marra, 33 anni, originario di Salerno dopve si è laureato in medicina per poi appassionarsi alla ricerca oncologica che lo ha portato a trasferirsi nel 2016 a Milano per specializzarsi appunto in Oncologia Medica presso l’Università di Milano e l’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo), nel gruppo del Prof. Giuseppe Curigliano. Ma non basta. “Poi ho trascorso tre anni al Memorial Sloan Kettering di New York occupandomi di ricerca traslazionale focalizzata su approcci di bioinformatica per caratterizzare meccanismi di resistenza a trattamenti standard e nuovi target terapeutici nel tumore della mammella ed altre neoplasie solide”, racconta il giovane oncologo che l’anno scorso  è tornato all’Ieo grazie alla ESMO Josè Baselga Fellowship for Clinician Scientists con l’obiettivo di proseguire l’attività clinica e di ricerca sul tumore mammario. Ed ora sbarca alla più importante kermesse congressuale del cancro, l’Asco, dove riceverà il Merit Award per un lavoro, frutto della continua collaborazione con i colleghi del Memorial Sloan Kettering.  “Abbiamo valutato il ruolo dell’amplificazione del gene CCNE1 nel tumore mammario, che è stato identificato come meccanismo di resistenza a diverse terapie standard attualmente utilizzate per questo tipo di tumore”, racconta Marra con l’entusiasmo di chi guarda oltre la fase di ricerca: “Avendo ora a disposizione nuovi farmaci che possono colpire in maniera selettiva ed efficace tumori con amplificazione del gene CCNE1, questi risultati ci consentiranno di pianificare il disegno di uno studio clinico dedicato per queste pazienti con una terapia personalizzata sul profilo genomico del tumore”.  (Irma D’Aria)

 

Matteo Repetto, 31 anni

Genovese di nascita ma – ci tiene a dirlo – di Frabosa Soprana per adozione, ha studiato a Milano: prima al San Raffaele, poi all’Istituto Europeo di Oncologia nella Divisione Sviluppo Nuovi Farmaci per Terapie Innovative diretta da Giuseppe Curigliano. Appassionato di biochimica e biologia strutturale, ha avuto la possibilità di continuare la sua formazione al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York, dov’è tuttora, sempre nell’ambito dell’oncologia di precisione e sviluppo nuovi farmaci. La ricerca premiata ad Asco riguarda la possibilità di comprendere, per ogni singolo individuo, quale sia il meccanismo che porta alla resistenza alle terapie. “Mi piace lavorare con le molecole e capire il perché delle cose – racconta a Salute – Poiché il cancro è un processo evolutivo, sviluppa delle resistenze alle terapie in maniera simile a come fanno i batteri per gli antibiotici. E proprio così come nessun paziente è uguale a un altro, e nessun tumore è uguale a un altro, anche le resistenze che si instaurano si basano su strategie differenti. Se riusciamo a capire quali mosse può fare il ‘nemico’, magari riusciamo a giocare una partita più intelligente. Ebbene, nel nostro studio abbiamo provato che è possibile prevedere il meccanismo di resistenza che si instaura”. Per giungere a queste conclusioni, Repetto e colleghi sono partiti da 68 mila campioni di tumore, per poi arrivare a selezionarne 127 di 64 pazienti, prelevati prima e dopo le terapie. Su questi campioni è stato eseguito un sequenziamento genomico molto sofisticato: “Se studiare una singola mutazione è come osservare il picco di una montagna, quello che stiamo cercando di fare ora è guardare tutto il panorama nel suo insieme, per capire come sta evolvendo. E, quindi, quali combinazioni di farmaci potrebbero essere più efficaci in ogni persona”. Obiettivi per il futuro: continuare gli studi accademici e mantenere lo spirito critico. (Tiziana Moriconi)

 

Pietro Lapidari, 32 anni

Non perde tempo, Pietro Lapidari. Laureato in Medicina alla Statale di Milano, va a Pavia per la specializzazione e subito prende contatti con un centro di ricerche all’estero. Sceglie Parigi, al Gustave Roussy, dove può lavorare sui dati provenienti dalla coorte CANTO che raccoglie dati riguardanti la malattia di circa 12 mila di donne francesi in cura presso 26 diversi ospedali. “Sono arrivato qui all’inizio del mio terzo anno di specializzazione, sono rimasto un anno e mezzo per poi tornare a finire la Scuola in Italia. Subito dopo però sono tornato: qui ho avuto un posto da strutturato e la possibilità di fare il Dottorato di ricerca”, ci dice Lapidari. La ricerca del giovane originario della provincia di Verbania ha l’obiettivo di sviluppare dei modelli in grado di predire quale donna in trattamento con terapie ormonali andrà incontro a effetti collaterali debilitanti. “Grazie all’efficacia delle terapie, oggi le donne con tumore al seno in fase precoce in media sopravvivono a lungo ed è quindi di sempre maggiore importanza valutare la loro qualità di vita”, commenta Lapidari. “In particolare, le donne che assumono inibitori dell’aromatasi in circa la metà dei casi sviluppano dolori muscolo scheletrici di vario grado che ne limitano l’attività quotidiana”. È questa una delle principali ragioni per cui il 30% delle pazienti interrompe la cura che, a seconda dei casi, dovrebbe durare dai 5 ai 10 anni. Una cura che serve ad abbassare il rischio che il tumore ritorni. Ad Asco 2024 Lapidari porterà un primo risultato della sua ricerca: un’analisi che mostra come, sebbene esistano delle Linee Guida per il trattamento di questi effetti collaterali, queste vengono adottate poco sia per la prevenzione sia nel caso in cui i dolori siano già riportati dalle pazienti. L’obiettivo finale è quello di creare modelli di predizione clinici, biologici e genomici per individuare le pazienti che con maggiori probabilità andranno incontro allo sviluppo di questi sintomi così da poter agire per tempo. Un obiettivo a cui Lapidari continuerà a lavorare da Parigi, dove ha in programma di terminare il suo Dottorato di ricerca. (Letizia Gabaglio)

 

Luca Arecco, 32 anni

È un po’ come fare goal: si sente così Luca Arecco, 32 anni, tra i vincitori italiani del Merit Award e da sempre appassionato di calcio che ora, però, vive più dalle tribune che dal campo anche perché dopo la laurea in Medicina e Chirurgia all’università di Pavia e la specializzazione all’Università di Genova e al Policlinico San Martino, sta completando l’ultimo anno di formazione specialistica e, grazie al supporto dell’Università di Genova e del programma ERASMUS+ traineeship, sta effettuando una fellowship di ricerca presso l’Institute Jules Bordet, Bruxelles (Belgio) dove vive. La ricerca per cui viene premiato all’Asco riguarda il tumore della mammella ed è basata su una delle casistiche più grandi al mondo: circa 5,000 giovani pazienti portatrici di mutazioni ai geni BRCA. “Circa il 10-15% delle giovani donne affette da carcinoma della mammella – racconta Arecco – è portatrice di una mutazione patogenetica ai geni BRCA1 o BRCA2. La nostra ricerca, coordinata dal Prof. Matteo Lambertini del Policlinico San Martino di Genova, è volta a valutare quale sia la prognosi di queste pazienti sulla base dell’espressione dei recettori ormonali e del sottotipo tumorale per poter migliorare ulteriormente le strategie di trattamento”. L’obiettivo principale del gruppo di ricerca è quello di migliorare la qualità di vita dopo le cure delle giovani pazienti, soprattutto sul tema della preservazione della fertilità e la possibilità di avere una gravidanza dopo un tumore alla mammella. “Ci sono ancora molti aspetti da chiarire in questo ambito e uno dei miei obiettivi di ricerca – spiega – è quello di indagare quale sia l’impatto delle terapie target e dell’immunoterapia sulla possibilità e sicurezza di avere una gravidanza dopo le cure”. (Irma D’Aria)

 

Andrea Vanzulli, 27 anni

Inizialmente indeciso tra le facoltà di Fisica e Medicina, ha optato per una branca che è una via di mezzo tra le due: la radiologia. Che per di più è fortemente multidisciplinare. Durante la formazione all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, sotto la guida di Alessandro Gronchi, Silvia Stacchiotti e Carlo Morosi, Andrea si è dedicato alla ricerca sui sarcomi dei tessuti molli, tumori rari di cui si conosce ancora poco. Lo studio premiato con il Merit Award mette in discussione il sistema con cui, sulla base dell’imaging, si valuta la risposta dei tumori solidi ai trattamenti oncologici, che in gergo si chiama ‘risposta obiettiva’. “Oggi – spiega – utilizziamo i criteri RECIST, che definiscono ‘risposta’ una riduzione dimensionale lineare pari o superiore al 30%. In considerazione della natura almeno in parte arbitraria di questo limite, abbiamo analizzato la risposta dimensionale come variabile continua. Abbiamo quindi dimostrato che maggiore è la riduzione in termini percentuali, maggiore è il controllo di malattia; maggiore l’incremento dimensionale, più sfavorevole la prognosi. In pratica, incasellando i pazienti in rigide categorie di risposta, si perdono informazioni con rilevanza prognostica. Lo studio è stato condotto con un elevato rigore epistemologico, e ci auguriamo che da esso scaturisca una discussione trasversale. Stiamo sfidando un dogma della ricerca clinica”. Tra 5 anni Andrea si vede nel ruolo del medico-ricercatore in ambito traslazionale e clinico: “Ho trascorso diversi mesi alla Harvard Medical School prima della laurea, ma a causa dell’epidemia di Covid ho dovuto interrompere la formazione all’estero. Vorrei svolgere ulteriori esperienze formative oltre confine, ma con l’obiettivo di tornare in Italia, cui devo la solida formazione che mi ha reso competitivo anche Oltreoceano”. (Tiziana Moriconi)

 

Martina Pagliuca, 33 anni

È incentrata sulla Cancer Survivorship la ricerca per cui Martina Pagliuca, originaria di Napoli, riceve il Merit Award all’Asco di quest’anno. “Grazie agli avanzamenti fatti nella terapia, è in continuo aumento il numero di persone che guariscono o che, terminata la prima fase di trattamenti attivi, ricevono per anni terapie preventive a lungo termine”, racconta la giovane ricercatrice che dopo il dottorato in Clinical and Translational Oncology della Scuola Superiore Meridionale lavora da 3 anni come ricercatrice presso il Gustave Roussy di Villejuif (alle porte di Parigi), il più famoso centro di ricerca oncologica in Europa. Ma di cosa si occupa la Cancer Survivorship? “Questo campo – risponde Pagliuca – è diventato un pilastro della ricerca in oncologia e si focalizza su sintomi come fatigue, distress emotivo, declino cognitivo ed insonnia, che possono presentarsi in maniera concomitante e possono essere clinicamente e biologicamente correlati”. La ricerca si è svolta presso il Gustave Rouissy su dati raccolti fin dal 2012 nell’ambito di un grande studio di coorte francese (più di 11000 pazienti affette da tumore mammario in stadio precoce), che comprendono anche i PRO (Patient Reported Outcome), dati generati direttamente dai pazienti senza alcuna influenza da parte del personale sanitario implicato nel percorso di cura. “Abbiamo evidenziato come ci sia un gruppo di pazienti che da una condizione di benessere alla diagnosi, presenti poi un aumento notevole del carico di questi sintomi. Il nostro obiettivo era anche identificare le caratteristiche di questi diversi gruppi di pazienti, in modo da essere capaci di adattare il percorso di cura e di supporto in base alle differenti esigenze di ognuno per praticare e offrire una medicina personalizzata, anche a lungo termine”, conclude la ricercatrice che sogna di continuare ad occuparsi di Survivorship ma tornando all’Istituto Tumori Pascale di Napoli da dove è partita. (Irma D’Aria)

 

Federica Gattazzo, 27 anni

Lo studio del microbiota, dei milioni di batteri che popolano il nostro intestino, è uno dei più affascinanti in medicina. Quanti e quali popolazioni di batteri abitano in ogni paziente e come si modificano con la somministrazione delle terapie, per esempio, possono essere dei segnali importanti per capire come l’organismo risponderà alla cura. In Italia, dove si è laureata in Chimica e tecnologie farmaceutiche all’Università di Parma e ha iniziato un dottorato di ricerca all’Università Cattolica a Cremona, Federica Gattazzo il microbiota lo ha studiato a lungo e poi ha pensato di applicare le sue conoscenze all’oncologia. “Quando è venuto il momento di guardarmi intorno per capire quale fosse il laboratorio migliore per svolgere il periodo di ricerca all’estero, la mia attenzione è caduta subito sul laboratorio di Laurence Zitvogel e di Lisa Derosa al Gustave Roussy”, ci spiega Gattazzo. Derosa, oncologa italiana ormai da anni a Parigi, più volte premiata con il Merit Award, è una pioniera nello studio dell’influenza del microbiota sull’immunoterapia oncologica. Gattazzo quindi ha scelto il centro di ricerca francese e da un anno porta avanti uno studio su un gruppo di pazienti con tumore al polmone o con tumore al rene che vengono curati con immunoterapia stand alone o in combinazione con altre terapie. “L’obiettivo è quello di capire se è possibile trovare nel sangue un segno affidabile dell’attivazione dei linfociti T, cioè di una memoria immunologica sviluppata o meno contro alcuni di questi batteri. E vedere se questo segno abbia una correlazione con la risposta alle terapie. E su questo presenterò dei dati a Chicago”, racconta Gattazzo. In altri termini, se è vero che la presenza di una risposta di memoria contro alcuni batteri – in particolare Akkermansia muciniphila – è un fattore predittivo di risposta all’immunoterapia, se esistesse un test semplice come un prelievo di sangue che potesse indicare la sua presenza sarebbe un modo per gestire al meglio il risultato clinico. Nello studio presentato ad Asco è stata esplorata inoltre la modulazione dei linfociti T di memoria indotta dall’utilizzo degli antibiotici. Le ricerche condotte dal gruppo parigino hanno infatti già evidenziato come l’uso di antibiotici somministrati in una certa finestra temporale rispetto all’inizio del trattamento immunoterapico possa avere un effetto deleterio sull’esito della terapia, indicando quindi un periodo in cui sarebbe meglio non somministrare antibiotici. (Letizia Gabaglio)

 



www.repubblica.it 2024-05-31 05:23:39

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