Tumore del polmone, con le nuove terapie cambiano le prospettive di cura


Avanti a piccoli ma significativi passi nel trattamento di alcuni tipi di tumori polmonari. Dal congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), in corso a Chicago, arrivano dei dati che, sebbene riguardino delle popolazioni di pazienti limitate, sono considerati dagli esperti molto positivi. Riguardano da una parte i pazienti con il tipo di tumore del polmone più diffuso, quello non a piccole cellule (Nsclc), ma solo quelli con malattia di stadio III, che non può essere operata, e con mutazione del gene Egfr; dall’altra i pazienti che hanno il tumore al polmone a piccole cellule, tipo meno diffuso, che deve essere di stadio limitato. Nel primo caso la terapia con osimertinib ha dimostrato di prolungare la sopravvivenza libera da progressione della malattia di più di tre anni, mentre nel secondo il trattamento con durvalumab riduce il rischio di morte del 27%.

Osimertinib: risultati senza precedenti

Presentati in sessione plenaria a Chicago e pubblicati contemporaneamente sul New England Journal of Medicine, i risultati dello studio Laura di fase III sono molto positivi. Nei pazienti trattati con osimertinib dopo aver ricevuto chemio-radioterapia si è registrato un allungamento del tempo che passa prima che la malattia progredisca rispetto a quanto osservato fra i pazienti che hanno ricevuto placebo: il rischio di progressione di malattia si riduce dell’84% e la sopravvivenza libera da progressione mediana è risultata pari a 39,1 mesi nei pazienti trattati con osimertinib rispetto a 5,6 mesi nei pazienti trattati con placebo. Da sottolineare che la terapia ha dato benefici clinici significativi in tutti i sottogruppi di pazienti, indipendentemente da sesso, etnia, tipo di mutazione Egfr, età, storia di tabagismo e chemio-radioterapia precedente. I dati di sopravvivenza globale mostrano anch’essi un andamento favorevole, ma dovranno essere confermati nelle analisi successive.

“Questi risultati rappresentano un importante passo avanti per questo insieme di pazienti per i quali non sono disponibili trattamenti mirati – afferma Filippo de Marinis, Direttore della Divisione di Oncologia Toracica dell’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) di Milano e Presidente di Aiot (Associazione Italiana di Oncologia Toracica) -. Osimertinib ha ridotto il rischio di progressione di malattia dell’84%, un risultato senza precedenti. Sulla base di questi dati, osimertinib dovrebbe diventare il nuovo standard di cura per questi pazienti”.

“Inoltre, in questo modo potremo offrire ai pazienti in stadio localmente avanzato un trattamento mirato in un setting ad intento curativo, cioè la terapia target anti-Egfr con osimertinib, in grado di ottimizzare l’efficacia della chemio-radioterapia – sottolinea Sara Ramella, Direttore Radioterapia oncologica e Professore Ordinario di Diagnostica per immagini e Radioterapia dell’Università Campus Bio-Medico di Roma/Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico -. Lo stadio III del carcinoma polmonare non a piccole cellule è un setting complesso, che non può prescindere dal coinvolgimento di un team multidisciplinare che comprenda oncologo medico, chirurgo e oncologo radioterapista per l’adeguata identificazione e la corretta gestione dei pazienti”.

Durvalumab: il primo progresso dopo 40 anni di ricerche

Novità importanti anche per i pazienti affetti dal tipo meno diffuso di tumore al polmone, quello a piccole cellule, per cui negli ultimi anni non si erano registrate novità terapeutiche. I pazienti presi in considerazione dallo studio Adriatic sono quelli in stadio limitato (Ls-Sclc) che non hanno avuto progressione di malattia dopo lo standard di cura attuale rappresentato dalla chemio-radioterapia concomitante. In questo caso l’immunoterapico durvalumab ha ridotto il rischio di morte del 27% rispetto a placebo, e ha allungato la sopravvivenza globale mediana a 55,9 mesi rispetto ai 33,4 mesi del placebo. Il 57% dei pazienti trattati con durvalumab è vivo a tre anni rispetto al 48% dei pazienti trattati con placebo. Con durvalumab anche il rischio di progressione di malattia o di morte è risultato ridotto del 24% rispetto al placebo, mentre la sopravvivenza libera da progressione mediana è stata pari a 16,6 mesi rispetto a 9,2 mesi dei pazienti trattati con placebo: la stima è che il 46% dei pazienti trattati con durvalumab non abbia presentato progressione di malattia a due anni rispetto al 34% con placebo.

“Era da oltre 40 anni che non assistevamo a cambiamenti nello standard della terapia sistemica del tumore del polmone a piccole cellule di stadio limitato – spiega Filippo de Marinis –. Adriatic è il primo studio a evidenziare progressi con l’aggiunta dell’immunoterapia dopo la tradizionale chemio-radioterapia in questi pazienti. I risultati rappresentano una svolta per questa malattia altamente aggressiva in cui i tassi di recidiva sono elevati, con solo il 15-30% dei pazienti vivo a cinque anni. Durvalumab è la prima terapia sistemica, dopo decenni, a mostrare un miglioramento della sopravvivenza in questi pazienti e dovrebbe diventare un nuovo standard di cura in questo setting”.

Per Silvia Novello, Presidente Walce (Women Against Lung Cancer in Europe), Ordinario di Oncologia Medica all’Università degli Studi di Torino e Responsabile Oncologia Medica all’Ospedale San Luigi Gonzaga di Orbassano, i risultati degli studi Laura e Adriatic evidenziano come le terapie innovative possano davvero cambiare le prospettive di cura dei pazienti: “Più di un paziente su sei con tumore del polmone non a piccole cellule riceve la diagnosi di malattia di stadio III non resecabile e circa il 15% presenta la mutazione di Egfr. Questi sono i pazienti candidabili a ricevere la terapia mirata con osimertinib, ora anche in questo stadio di malattia. Dall’altro lato, il tumore del polmone a piccole cellule finora ha ricevuto meno attenzione rispetto ad altre neoplasie, anche a causa dello stigma sociale, riconducibile alla storia di tabagismo nella maggioranza dei pazienti. Il notevole miglioramento di sopravvivenza globale osservato con durvalumab dopo chemio-radioterapia concomitante è in grado di trasformare il trattamento della malattia anche nello stadio limitato, dopo gli importanti risultati già dimostrati dall’immunoterapia nello stadio esteso”.



www.repubblica.it 2024-06-03 18:52:34

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