Sla, una nuova speranza da un farmaco contro le leucemie


Un farmaco in sviluppo per alcune forme di leucemia potrebbe essere di beneficio anche per pazienti colpiti da sclerosi laterale amiotrofica (Sla). È la scoperta di un team di ricercatori della Sapienza Università di Roma e dell’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) di Roma. La ricerca è ancora in fase iniziale, ma i buoni risultati ottenuti in laboratorio fanno ben sperare: l’utilizzo di questa molecola, nota come STM2457, riduce il numero e la densità di strutture chiamate granuli da stress presenti nelle cellule dei pazienti, riportando a un profilo di funzionamento simile a quello delle cellule sane.

La risposta allo stress nella Sla

 

La sclerosi laterale amiotrofica (Sla) è una malattia neurodegenerativa rara che non lascia scampo: i motoneuroni, cioè le cellule coinvolte nei movimenti volontari dei muscoli, vanno in sofferenza e muoiono. Così, in modo progressivo, si perdono la capacità di muoversi, di comunicare, di deglutire e di respirare in autonomia. La coscienza della persona colpita, però, rimane intatta, fino al decesso. A oggi non esiste una cura efficace e le cause non sono del tutto chiare. Gli esperti la definiscono una patologia multifattoriale e sono state identificate anche diverse mutazioni genetiche associate al suo sviluppo. 

“Un’associazione causale positiva con la malattia è la formazione di aggregati proteici insolubili all’interno delle cellule delle persone colpite da Sla – spiega a Salute Irene Bozzoni, del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie Charles Darwin della Sapienza e del centro CLNS2 di Iit di Roma che ha coordinato la ricerca pubblicata sulla rivista Nature Communications – In situazioni di stress le cellule normalmente concentrano all’interno di particolari strutture chiamate granuli da stress molti Rna e proteine al fine di proteggerli dal danno che la cellula sta subendo; passata la condizione di pericolo, i granuli si sciolgono e rilasciano  il loro contenuto che torna disponibile per lo svolgimento delle normali funzioni cellulari”. Questo è quello che avviene in condizioni fisiologiche; al contrario, in persone affette da Sla il processo risulta alterato: le proteine mutate si aggregano formando dei granuli da stress molto più insolubili e intrappolando per tempi molto più lunghi Rna e proteine importanti per le funzioni del motoneurone.

Attenzione all’Rna

 

Negli anni la ricerca sulla Sla si è prevalentemente concentrata sullo studio del ruolo delle proteine mutate nell’insorgenza e nella progressione della malattia, ma c’è anche altro. “L’Rna, per esempio, finora era rimasto ai margini delle indagini, anche se in realtà si tratta di una molecola fondamentale coinvolta non solo nella sintesi delle proteine, ma anche nelle comunicazioni interne alla cellula e nei processi di regolazione – dice Bozzoni – Da tanti anni il mio gruppo studia la Sla e di recente, anche grazie ai fondi del progetto ERC-Synergy, ci siamo concentrati proprio sul ruolo dell’Rna nella malattia”.

Il team di Bozzoni, in particolare, ha studiato una forma di Sla in cui è presente la mutazione della proteina FUS, scoprendo che i granuli da stress fisiologici e quelli patologici presentano differenze significative nel grado di metilazione degli Rna che vi rimangono intrappolati. “La metilazione è una delle tante modifiche chimiche dell’Rna che ne influenza le proprietà, le funzioni e la regolazione – specifica la ricercatrice – Nelle colture di cellule in laboratorio abbiamo notato che in caso di Sla i livelli di metilazione sono molto più alti rispetto a quelli di cellule normali e che questo correla con un maggior numero di granuli e con una loro maggiore persistenza nel tempo”. 

Il ruolo del farmaco 

 

A fronte di questa evidenza, gli scienziati hanno provato a intervenire riducendo il livello di metilazione dell’Rna nelle cellule con mutazioni associate alla Sla, dapprima attraverso un approccio genetico (ossia abbassando i livelli dell’enzima responsabile dell’aggiunta dei gruppi metili) e poi attraverso la somministrazione di un inibitore, STM2457, che a oggi è in studio come trattamento per alcune forme di leucemia. L’obiettivo era verificare se i granuli da stress si riducessero in numero e tornassero a essere più solubili, come avviene nelle cellule sane. E, in effetti, così è.

“I nostri test di laboratorio sono positivi e lasciano pensare che questo approccio farmacologico possa essere un buon candidato come trattamento sistemico per i pazienti affetti da Sla in fasi precoci della malattia, quando i motoneuroni possono ancora essere salvati”, chiarisce Bozzoni, che ha aggiunto che per arrivare alla sperimentazione clinica, oltre a trovare dei partner interessati a sostenere la ricerca su questo approccio, bisognerà prima passare attraverso la verifica dei risultati su altri modelli preclinici. “Bisogna provare l’effetto in modelli animali, per esempio il moscerino della frutta – conclude Bozzoni – Se i dati saranno confermati, l’avanzamento verso gli studi sull’essere umano sarà agevolato dal fatto che molte caratteristiche ed effetti di STM2457 nell’essere umano sono già conosciuti”.



www.repubblica.it 2024-06-24 06:12:04

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