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Screening per il tumore del colon-retto, l’adesione aumenta grazie alle farmacie

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Una buona adesione alla campagna di screening per il tumore del colon-retto passa anche dalle farmacie. Quello che è un progetto attualmente attivo in nove Regioni italiane conferma le sue premesse. Potendo ritirare e consegnare al proprio farmacista di fiducia il kit per l’esame del sangue occulto nelle feci, uomini e donne sono più portati ad aderire alle iniziative per la diagnosi precoce di quella che è la seconda malattia oncologica più frequente. È questo il messaggio che emerge da uno studio condotto nella provincia di Barcellona – dov’è attivo un programma simile che prevede il coinvolgimento delle farmacia – e pubblicato su Preventive Medicine.

 

Screening per il tumore del colon: coinvolgere le farmacie funziona

Gli autori sono andati a valutare l’adesione delle farmacie al programma e la quota di persone che riconsegna i kit distribuiti. In entrambi i casi, i risultati sono stati molto soddisfacenti. L’82,4 per cento delle farmacie sparse sul territorio ha infatti distribuito i kit per la ricerca del sangue occulto nelle feci ai propri clienti. E tra questi, il 93,5 per cento (su un totale di 77.524 kit distribuiti) li ha restituiti per l’analisi attraverso metodi immunochimici (ricerca del sangue occulto nelle feci). Nel capoluogo catalano, la collaborazione prevede il coinvolgimento dell’Ordine dei Farmacisti, un compenso di un euro per ogni kit consegnato, un sistema informativo per il monitoraggio dell’attività delle farmacie e un training formalizzato con requisiti minimi per la partecipazione al programma. Tra gli elementi caratterizzanti questa esperienza, la messa a disposizione di pacchetti formativi rivolti ai farmacisti su tematiche legate al cancro al colon e alle modalità organizzative del programma di screening.

Esperienza in corso anche in nove Regioni italiane

Un’iniziativa analoga risulta attualmente attiva in nove Regioni italiane. I campioni raccolti – in Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Lazio, Umbria, Campania, Puglia e Sicilia – vengono inviati alle Asl per essere analizzati. E, in caso di un sospetto diagnostico, è la Asl di competenza a richiamare il paziente per ulteriori accertamenti. Nonostante ciò, esistono comunque delle differenze su base regionale. In Piemonte, per esempio, le farmacie rilevano ulteriori indicatori (numero di contatti, iniziative di counseling e archivio dello screening) per misurare l’impatto della collaborazione in termini di adesione dei cittadini al programma. La Lombardia, invece, ha posto particolare attenzione agli aspetti di controllo qualità del percorso, introducendo la tracciatura della provetta in consegna e rientro in farmacia. Altre Regioni hanno introdotto nei propri accordi dei meccanismi premiali che aumentano la remunerazione della provetta in funzione dell’incremento dell’adesione al programma di screening, che si dovrebbe ottenere attraverso il coinvolgimento attivo del farmacista. Secondo gli esperti dell’Osservatorio Nazionale Screening, “affidare alle farmacie una funzione non soltanto organizzativa, ma di counselling, potrebbe avere un impatto positivo sul superamento delle barriere comunicative e culturali nell’adesione. Questo sarebbe favorito dalla diffusione capillare delle farmacie sul territorio, anche nelle zone in cui ci sono meno servizi, e dal ruolo di mediazione tra i cittadini e i servizi sanitari pubblici che già svolgono”.

L’impatto della pandemia

In questa fase, un’informazione di questo tipo è particolarmente preziosa. Come più volte ribadito, infatti, gli screening oncologici rientrano tra le prestazioni più penalizzate dal blocco imposto dai lunghi mesi di emergenza sanitaria a causa di Covid-19. Secondo l’Osservatorio Nazionale Screening, lo stop imposto dalla pandemia e la ripartenza a singhiozzo potrebbe aver determinato il ritardo di 1.300 diagnosi di tumore del colon-retto e di oltre 7.400 adenomi avanzati (che può nel tempo evolvere in una diagnosi oncologica). Numeri che preoccupano, anche perché la base di partenza non era delle migliori. Sulla base dei dati raccolti dal sistema di sorveglianza Passi, si stima infatti che in Italia (tra il 2016 e il 2018) soltanto il 47 per cento delle persone intervistate nella fascia di età 50-69 anni abbia eseguito un esame a scopo preventivo per la diagnosi precoce dei tumori del colon (ricerca del sangue occulto negli ultimi due anni o colonscopia negli ultimi cinque anni). Meno di 1 su 2, mediamente. Ma con un forte gradiente geografico: si passa dal 67 per cento rilevato nelle regioni del Nord al 26 per cento di quelle del Mezzogiorno. Troppo poco per affermare di aver fatto il massimo nella diagnosi precoce del tumore del colon-retto.



www.repubblica.it 2021-05-29 08:50:00

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