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Tumore dell’esofago, con l’immunoterapia si vive di più

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Un risultato importante, perché per la prima volta anche nel tumore all’esofago l’immunoterapia fa fare un passo avanti all’efficacia della terapia, cambiando completamente lo scenario. La combinazione di immunoterapia e chemioterapia e la duplice immunoterapia possono infatti cambiare la pratica clinica nel trattamento dei pazienti con tumore in fase avanzata già come primo trattamento. È quanto dimostra uno studio presentato al Congresso della Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO) che ha coinvolto 970 pazienti colpiti da tumore dell’esofago a cellule squamose avanzato o metastatico, che in Italia rappresenta il 40% dei casi, e mai trattati in precedenza. “Uno studio che riaccende una luce su una patologia a lungo considerata una cenerentola perché con scarse opzioni terapeutiche e che ci spinge a riconsiderare il nostro modo di gestire questi pazienti”, afferma Stefano Cascinu, Primario Unità di Medicina Oncologica IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e Professore di Oncologia Medica presso l’Università Vita-Salute San Raffaele.

I risultati

Lo studio ha considerato due possibili regimi terapeutici per questi pazienti, l’aggiunta alla chemioterapia di nivolumab e la sola combinazione di due molecole immunoterapiche, nivolumab e ipilimumab. In più sono stati considerati sia i pazienti con espressione del biomarcatore PD-L1 (maggiore o uguale all’1%), fattore che viene considerato indicativo dell’efficacia dell’immunoterapia, che tutta la popolazione randomizzata. “Nei primi, la combinazione di nivolumab più chemioterapia ha mostrato un vantaggio davvero impressionante in termini di sopravvivenza globale mediana nel confronto con la sola chemioterapia, pari a 15,4 mesi rispetto a 9,1 mesi”, spiega Cascinu. “Ottimo anche il risultato raggiunto dalla combinazione delle due molecole immuno-oncologiche, nivolumab e ipilimumab, pari a 13,7 mesi rispetto a 9,1 mesi della sola chemioterapia”. Sostanzialmente sovrapponibili i risultati in tutti i pazienti randomizzati, cioè indipendentemente dall’espressione di PD-L1. “In questo gruppo la sopravvivenza globale mediana è stata di 13,2 mesi con la combinazione di nivolumab più chemioterapia e 12,8 mesi con nivolumab e ipilimumab rispetto a 10,7 mesi con la sola chemioterapia. Anche il tasso di risposta oggettiva è migliore con le combinazioni”, aggiunge Cascinu. 

Un’opzione efficace e necessaria

Il tumore dell’esofago è in costante aumento – nel 2020, in Italia sono stati stimati 2.400 nuovi casi – e purtroppo circa la metà dei pazienti arriva alla diagnosi in stadio già avanzato. Per questi malati la chemioterapia è il trattamento standard, ma la prognosi rimane sfavorevole perché la sopravvivenza non supera i 10 mesi: una malattia che progredisce molto rapidamente con un forte impatto sulla qualità di vita. “Da qui l’importanza di individuare nuove opzioni. Il significativo miglioramento clinico in sopravvivenza di questi due regimi di trattamento evidenzia l’impatto dell’immunoterapia sulla gestione della neoplasia e può portare nuove possibilità di cura per pazienti con malattia già in fase avanzata”, specifica Cascinu. “Inoltre la duplice immunoterapia è il primo trattamento chemio-free a mostrare un beneficio in sopravvivenza in questi pazienti, che spesso sono molto fragili e colpiti anche da altre patologie. Può quindi rappresentare un’alternativa terapeutica efficace in persone che non tollerano la chemioterapia per le condizioni generali di salute compromesse”.

Pazienti fragili

Infatti, l’abuso di alcol e l’abitudine al fumo di sigaretta sono strettamente connessi alla forma squamosa del tumore dell’esofago. Si tratta per la maggioranza di uomini sopra i 70 anni ma il cambiamento delle abitudini, a partire dal tabagismo, sta portando a una diffusione importante anche nella popolazione femminile. “Sono pazienti molto fragili per i quali la combinazione chemio-free potrebbe davvero poter fare la differenza, ma bisogna agire in tempi rapidi e noi purtroppo a oggi non possiamo usare queste molecole perché in Italia non sono autorizzate”, conclude Cascinu. “E’ necessario che Aifa consideri questa urgenza e si trovi un modo per permettere anche a questi pazienti, di cui si parla poco, di accedere alle migliori opzioni terapeutiche”. 

 



www.repubblica.it 2021-06-05 10:15:12

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