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Analizzato per la prima volta il genoma del sarcoma a cellule chiare

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Per la prima volta è stato analizzato il genoma del sarcoma a cellule chiare, un tumore raro che colpisce adolescenti e giovani e per il quale non esistono ancora cure mirate. Lo studio è stato condotto da un team italo-statunitense guidato dagli Huntsman Cancer Institute Disease Centers, specializzati nello studio dei sarcomi dell’Università dello Utah – con la partecipazione del Premio Nobel Mario Capecchi – e i risultati sono pubblicati sul Journal of Clinical Investigation. “I risultati che abbiamo ottenuto ci permettono di comprendere meglio la biologia di questo sarcoma”, spiega Emanuele Panza del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università di Bologna, primo autore dello studio: “Inoltre, siamo riusciti a mettere a punto alcuni modelli innovativi che rappresentano uno strumento essenziale per testare nuove terapie precliniche, e arrivare a combattere questa malattia”.

 

Quel difetto del Dna che dà luogo al sarcoma

Il termine “sarcoma” racchiude molte forme diverse di tumori. I sarcomi a cellule chiare sono un tipo di sarcoma dei tessuti molli molto aggressivo che si sviluppa a livello dei tendini e può essere confuso con il melanoma per alcune caratteristiche morfologiche e molecolari. Una delle mutazioni ben conosciute di questo tumore è una traslocazione che avviene al livello di due geni, EWSR1 e ATF1. In sostanza, i frammenti di due differenti cromosomi si scambiano di posto e si ricompongono: questo difetto dà luogo a delle proteine “di fusione” che sono difettose e che guidano la formazione del sarcoma. A parte questa caratteristica, però, fino ad oggi poco si conosceva del resto del genoma di questa neoplasia.

 

Il nuovo studio

Per indagare la presenza di altre eventuali mutazioni importanti e peculiari, i ricercatori hanno generato un nuovo modello del tumore, riproducendolo nei topi. Hanno così identificato alterazioni caratteristiche nel numero di copie di alcuni specifici geni (in particolare il gene MITF) e cromosomi (7 e 8) ed hanno indotto in vivo il processo di traslocazione cromosomica EWSR1-ATF1. “Nel complesso, questo tumore ha un genoma relativamente stabile”, spiega Panza: “Oltre alla traslocazione cromosomica che genera l’oncogene di fusione EWSR1-ATF1, non sono emerse altre mutazioni secondarie indispensabili per avviare il processo di formazione della malattia”. Ma lo studio del suo genoma non si ferma qui: “È importante continuare a studiarne le caratteristiche – conclude il ricercatore – e arrivare così a formulare delle terapie specifiche”.



www.repubblica.it 2021-07-30 14:39:54

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