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Tumori: diritto all’oblio per un milione di pazienti guariti

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Come un’etichetta che resta appiccicata e che chiude le porte ad una vita ‘normale’. E’ quella che si sentono addosso le tante persone che sono guarite da un tumore. In Italia sono circa un milione e pur essendo clinicamente guariti non lo sono dal punto di vista sociale perché devono affrontare ostacoli che impediscono loro di riprendere una vita normale dopo la conclusione delle cure antitumorali: sono discriminati nell’accesso ai servizi finanziari, ai prestiti bancari o quando chiedono di sottoscrivere mutui o polizze assicurative. Servono norme che consentano loro un reale ed effettivo ritorno alla vita dopo il cancro, alla pari delle persone sane. È il cosiddetto ‘diritto all’oblio’ per cui un paziente oncologico non deve essere costretto a dichiarare la pregressa patologia, trascorso un certo periodo di tempo dalla diagnosi e dalla conclusione dei trattamenti. La richiesta arriva da oncologi e pazienti in una conferenza stampa a Roma alla Camera dei Deputati per la presentazione del libro “Guariti e Cronici. Manuale di Oncologia Clinica” (a cura di Armando Santoro, Antonella Surbone, Paolo Tralongo, ed. Edisciences).

I pazienti guariti

Sono 3,6 milioni i cittadini in Italia che vivono dopo la diagnosi di cancro. Il 27%, circa un milione di persone, può essere considerato guarito perché si è lasciato la malattia alle spalle e non ha bisogno di altri trattamenti. “I guariti hanno la stessa aspettativa di vita della popolazione generale di uguale sesso e di pari età – afferma Paolo Tralongo, direttore Oncologia Medica, Ospedale Umberto I, Siracusa. “Per questo è necessaria una nuova categorizzazione dei pazienti. Come risultato del miglioramento dei programmi di screening, dei pro­gressi nelle terapie e dell’invecchiamento della popolazione, una prospet­tiva di vita a lungo termine è sempre più comune nel percorso delle persone che hanno ricevuto la diagnosi di cancro”.

Una questione (anche) di linguaggio

La rivoluzione culturale passa anche attraverso il linguaggio utilizzato. “Il termine ‘sopravvissuto’ nella cultura anglosassone è caratterizzato da una connotazione positiva, correlata alla resilienza – spiega Giordano Beretta, presidente Fondazione Aiom. “In altri Paesi, invece, è spesso considerato come un’etichetta sgradita, perché associa l’identità della persona con la malattia. Proprio come i trattamenti antitumorali che sono sempre più mirati a sottogruppi di pazienti, così anche gli interventi sulla lungovivenza devono essere personalizzati nella pratica clinica. Molti pazienti, trascorso un certo nu­mero di anni dalla diagnosi, si considerano guariti e vogliono essere così dichiarati anche dai loro oncologi. Ciononostante, alcuni clinici sono ancora riluttanti ad applicare il termine ‘guarito’, temendo di aumentare speranze che potrebbero essere deluse, preferendo espressioni come ‘nessuna evidenza di malattia’ o ‘remissione’, la cui risonanza è diversa per pazienti e pro­fessionisti”.

Una nuova categoria di pazienti

Dunque, gli oncologi si trovano oggi di fronte ad una grande sfida culturale perché sempre più pazienti oggi hanno la possibilità di gua­rire o di vivere a lungo e giustamente rivendicano il diritto di ritornare ad un contesto sociale e ad una qualità di vita dignitose. “Nel passaggio verso una cultura dell’oncologia in cui il cancro è conside­rato una malattia cronica – prosegue Tralongo – vi è un bisogno di chiarezza sulle somiglianze e sulle differenze tra tutti i malati di cancro lungoviventi. Questo con­sente una loro nuova categorizzazione, che a sua volta può fornire un evidente supporto alle cure basate sul rischio di ripresa evolutiva e di sviluppo di effetti collaterali delle terapie a lungo termine, un miglioramento del follow-up e l’elaborazione di specifiche raccomandazioni e di linee guida di sorveglianza”.

Guariti dal tumore ma discriminati: il piano di medici e pazienti per una ‘guarigione sociale’


L’esempio degli altri paesi

La Francia è stato il primo Paese a stabilire per legge che le persone con pregressa diagnosi oncologica, trascorsi dieci anni dalla fine dei trattamenti o cinque per coloro che hanno avuto il tumore prima della maggiore età, non sono tenute ad informare gli assicuratori o le agenzie di prestito sulla loro precedente malattia. Ad oggi, dopo la Francia, Belgio, Lussemburgo, Olanda e più recentemente il Portogallo hanno adottato una disciplina analoga, ma anche altri Paesi stanno affrontando questa problematica. “Sotto l’ampia definizione di ‘sopravvissuti’ al cancro, oggi sono inclusi pazienti che vivono con neoplasie cronicizzate e caratterizzate da remissione alternata a recidiva; quelli il cui tumore progredisce lentamente, spesso accompagnato da una qualità della vita accettabile; quelli che, dopo anni di assenza di malattia, possono essere dichiarati guariti e quelli che sono in remissione clinica per lunghi periodi di tempo o per tutta la vita – spiega Armando Santoro, direttore Humanitas Cancer Center dell’Istituto Clinico Humanitas Irccs, Rozzano (Milano).

Distinguere in base al tumore

Secondo gli oncologi è necessaria una nuova categorizzazione, meno rigida rispetto a quella adottata in Francia, considerando cioè la possibile evoluzione di ogni tumore. “Il tempo necessario a raggiungere la stessa attesa di vita della popolazione generale e a definire la persona guarita, infatti, varia in relazione alle diverse neoplasie ed è inferiore a 5 anni per il cancro della tiroide e inferiore a un decennio per quello del colon e il melanoma”, prosegue Santoro. “Per alcuni tumori frequenti, come quelli della mammella e della prostata, un eccesso di rischio che la malattia si ripresenti, sebbene esiguo, si mantiene molto a lungo, per oltre 20 anni. Anche per le persone con tumori della vescica o del rene, linfomi non-Hodgkin (in particolare i linfomi a grandi cellule B o follicolari), mielomi e leucemie, soprattutto per le varianti croniche, un eccesso di rischio rispetto alla popolazione generale permane per oltre 15 anni dopo la diagnosi”. In Italia, nel 2020, sono stati stimati 377mila nuovi casi di tumore.

Un position paper sulla survivorship care

Oggi molte persone guarite dal cancro, soprattutto giovani, si vedono negare l’accesso a prodotti finanziari, come prestiti bancari e mutui, o assicurativi oppure, nel migliore dei casi, ne fruiscono con maggiorazioni tariffarie o clausole di esclusione parziale del rischio assicurativo, anche decenni dopo aver completato l’iter terapeutico. Anche la progettualità di vita subisce discriminazioni, a partire dalla genitorialità adottiva. Nei prossimi mesi Alleanza Contro il Cancro, insieme a tutti gli Irccs oncologici e con Aiom (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e Aimac, pubblicherà un position paper sul modello italiano sulla survivorship care e sulle motivazioni che dovranno essere alla base del riconoscimento legislativo del ‘diritto all’oblio’ delle persone guarite dal cancro, presupposto per abbattere lo stigma cancro uguale morte.
 
 

 



www.repubblica.it 2021-11-17 18:43:00

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