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Le epidemie ci restano nell’anima

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Di peste, sciagure che vengono dall’est e frecce avvelenate da germi se ne parla da sempre. Tremila e passa anni fa era Apollo a scagliarle sui greci impegnati ad assediare Troia (parliamo dell’Iliade). E Apollo parteggiava per gli orientali troiani; d’altra parte un suo antenato gemello, un certo Aplu, era la divinità della peste ancora più a est, in Anatolia, e ancora più indietro negli anni: tra gli ittiti, circa 5000 anni fa. Di peste si moriva ad Atene, come racconta Tucidide, a Roma (166 dc) e a Bisanzio (541 dc). Ma chissà che morbo era, infezioni contagiose di certo ma di quali germi si trattasse è difficile dirlo. Su su per i secoli, seguendo le tracce dei contagi, della paura per chi li trasmette, delle conseguenze politiche che lasciavano in eredità. Ma le idee si schiariscono nel 1348, l’anno di demarcazione tra lo ieri e l’oggi delle epidemie. La peste nera. Che lascia nel nostro immaginario tracce indelebili, tali da essere l’impalcatura del nostro discorso pubblico, ma anche interiore, sulla Covid. Perché? Lo abbiamo chiesto a uno dei più grandi storici italiani, Adriano Prosperi, professore emerito alla Scuola Normale Superiore di Pisa e membro dell’Accademia dei Lincei.

 

Professore, cominciamo dalla peste nera. Perché è stata così drammatica da diventare un archetipo nella storia e nell’immaginario medico?

Santa Maria di Nazareth: Nazareth-Lazzaretto. Da allora l’Italia si riempie di luoghi che hanno quel nome: io stesso vengo da un paese che si chiama Lazzeretto di Cerreto Guidi, nato durante la peste del 1630. E quella parola è a tutt’oggi usata per indicare proprio un luogo di esclusione sociale dei malati>.

Un ciclo così lungo lascia un’eredità indelebile. Attraverso quali canali?

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Le epidemie danno forma all’immaginario medico, e che tracce lasciano sui sistemi sociali?

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Solo disgregazione sociale?

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C’è un parallelo tra il bisogno di controllare le epidemie e la mano pubblica sulla salute?

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Tornando agli untori, al male che viene portato da fuori. Nel villaggio globale, oggi: chi sono gli untori?

< Con la peste come con la guerra la prima cosa che muore è la verità. Sappiamo però, che la liberal-democrazia garantisce ancora il controllo della salute e i diritti dei cittadini. Ma si fanno strada fantasie assurde come quella dello stato di eccezione. E siamo davanti a quello che accade regolarmente: le esclusioni, le chiusure, l’assalto ai forni, la repressione l’esercito nelle città…>

 

E’ difficile da capire come possano permanere certi meccanismi, sempre uguali attraverso i secoli, che però ci sorprendono ogni volta. Com’è possibile?

 

Eppure nel nostro immaginario, i simboli permangono attraverso i secoli.

Palermo e datato 1461.  Questo immaginario si è fissato allora e non promette di cambiare. Non ne siamo pienamente consapevoli, ma è sempre pronto a riaffacciarsi, come è sempre pronta a riaffacciarsi la reazione di difesa, di chiusura, di spavento. Quello che è cambiata è la coscienza delle cause: non crediamo più che colpevole sia il miasma nell’aria o che ci sia una volontà malefica di un gruppo umano legato al diavolo. Non abbiamo più una immagine religiosa in materia. Oggi il papa si presenta solo solo. Per colpire la suggestione. Lui non spera più che l’acqua santa possa ricacciare indietro la peste. Si raffinano le idee e i sentimenti, ma resta necessario il ricorso a quel patrimonio di immagini, di parole che sono il portato culturale, quel bagaglio che, per sua natura, è fatto per durare>.

Però si è portato in San Pietro il Crocifisso dei Miracoli a cui è attribuita la sconfitta della peste che ha colpito Roma nel 1500.

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www.repubblica.it 2021-12-09 14:20:08

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