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Covid, quando le vittime sono gli animali selvatici

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Morti per complicazioni dovute al coronavirus. Siamo abituati da tempo, purtroppo, a sentire simili frasi, un po’ meno però quando si parla di leopardi delle nevi, specie protetta di cui rimangono ormai solo quattromila esemplari in libertà.

È accaduto nel Lincoln Park Zoo, in Nebraska, dove a perdere la vita sono stati Everest, Makalu e Ranney, tre esemplari di Panthera uncia (questo il nome scientifico) un mese dopo circa essere risultati positivi al virus. Sono felino originari delle montagne dell’Asia centrale, inseriti tra le specie “vulnerabili” nelle liste dell’Unione internazionale per la conservazione della natura.

Quello dei leopardi delle nevi non è un caso isolato: diversi animali sono stati infettati e molti hanno perso la vita negli zoo di tutto il mondo. Gli animali mostrano di avere poca fame, respirano male, sono deboli. E poi il test conferma la presenza del Covid, arrivato con tutta probabilità da operatori e guardiani positivi. A settembre, nello zoo di Atlanta erano tredici i gorilla contagiati.

[[ge:rep-locali:content-hub:278537740]]Ma non accade soltanto agli animali negli zoo o nei santuari. Uno studio pubblicato su Nature rivela un’infezione da almeno tre varianti del virus che causa il Covid-19 nei cervi dalla coda bianca (Odocoileus virginianus) che vivono liberi in sei località dell’Ohio nord-orientale, Stati Uniti. Il team di ricerca ha preso dei tamponi nasali da 360 cervi dalla coda bianca in nove località diverse dello stato, rilevando almeno tre ceppi diversi del virus in 129 (35,8%) dei cervi campionati.

Impossibile ad oggi comprendere come sia avvenuta la trasmissione, secondo le sequenze emerse sarebbero gli esseri umani a contagiare i cervi, forse attraverso un percorso ambientale, probabilmente gli animali hanno bevuto acqua contaminata. La ricerca ha dimostrato che il virus è diffuso nelle feci umane e rilevabile nelle acque reflue. Non vi sono invece evidenze scientifiche che i cervi infetti possano passare il virus all’uomo.

Tornando agli animali in cattività, sempre negli Stati Uniti il governo ha autorizzato un vaccino sperimentale anti Covid-19 prodotto da Zoetis. La somministrazione è iniziata quest’estate nello zoo di Oakland e proseguirà in almeno altre settanta strutture del paese. Tigri, orsi neri e grizzly, leoni di montagna, furetti, primati, stanno ricevendo le prime dosi.

In Russia è stato prodotto il primo lotto del vaccino per animali, il Carnivac-Cov, mentre la sperimentazione di fase 1 di un vaccino anti-Covid per gatti dell’azienda italiana Evvivax ha dato risultati positivi negli Stati Uniti.

Anche in Europa l’attenzione è alta. Nello zoo di Anversa sono risultati positivi due ippopotami, Hermien e Imani, messi in isolamento; gli animali non presentano sintomi della malattia se non rinorrea. E’ la prima segnalazione riguardante questa specie, ma non se ne conosce l’origine perché nessuno tra i caregiver dello zoo ha contratto la malattia.

[[ge:rep-locali:content-hub:266681530]]Qual è la situazione in Italia?

Prevenzione e rispetto delle regole aiutano la gestione delle strutture e degli animali nel nostro Paese.

“Il Covid è uno di quei virus che, seppure marginalmente, colpisce anche alcune specie animali, in particolar modo i felini, le grandi scimmie e i mustelidi, famiglia di carnivori che comprende lontre, faine, puzzole, tassi, martore. In genere è l’uomo che trasmette il covid agli animali e questo accade quando c’è una contiguità, una stretta vicinanza”, spiega Francesco Petretti, docente di Biologia della Conservazione all’Università di Perugia e di Camerino e presidente del Bioparco di Roma. “Noi abbiamo giocato in anticipo. Al Bioparco di Roma vivono una tigre bianca, una coppia di tigri di Sumatra, una coppia leopardi persiani, una famiglia di leoni asiatici, scimpanzè, orango, e il problema ce lo siamo posto da sempre perché alcuni virus possono essere trasmessi dall’uomo agli animali, indipendentemente dal Covid”.

Prevenzione e regole prima ancora che scoppiasse la pandemia. “I keeper, le persone che si prendono cura degli animali, indossano sempre dispositivi di sicurezza, non solo guanti e mascherine, ma anche calzari disinfettati ogni volta che entrano nelle aree riservate”.

Il contatto diretto con il pubblico al Bioparco non c’è perché esiste uno schermo di vetro, già da prima dell’epidemia, che impedisce anche la diffusione di particelle via aerea. Inoltre gli animali sono sottoposti a monitoraggi continui, soprattutto se hanno subito interventi di qualsiasi tipo per la salvaguardia della loro salute.

“Quando gli animali sono vicino all’uomo sono sempre loro a rimetterci, dobbiamo renderci conto che soffrono come noi, hanno patologie, malattie, problemi genetici. E noi ci prendiamo cura dei nostri mille e ottocento animali al 100 per cento”.

[[ge:rep-locali:content-hub:266655169]]“Anche i visitatori possono comunque stare tranquilli”, continua il Presidente. Lo schermo di vetro che crea la separazione uomo – animale è uno strumento in uso da pochi anni. Prima si tendeva a fare avere un contatto diretto. “Ci siamo resi conto che con il vetro gli animali hanno un comportamento più naturale, più libero e riservato. Per loro significa avere uno spazio proprio, senza invasione”.

Davvero basta un vetro a dare una sensazione di distacco? “Sì perché il vetro agisce su due delle modalità di comunicazione che per gli animali sono più importanti della vista: l’olfatto e l’udito. Schermando onde acustiche e odori provenienti dagli uomini, riescono a percepire di più lo spazio come loro, con i loro odori e i loro rumori”.



www.repubblica.it 2021-12-27 07:00:00

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