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Il cuore ‘grande’ del calciatore Bernardeschi, cos’è l’ipertrofia ventricolare sinist…

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Ipertrofia ventricolare curata con farmaci e dieta. Il calciatore della Juventus Federico Bernardeschi ha definito così in un’intervista la problematica che, intorno ai 16 anni, l’ha costretto ad uno stop agonistico di alcuni mesi, dandogli la grinta e la forza per diventare il campione che oggi ammiriamo negli stadi. In seguito alle dichiarazioni dello sportivo, però alcuni cardiologi dello sport si sono allarmati, non tanto per la situazione specifica ampiamente seguita dagli specialisti, quanto piuttosto perché non è giusto che si sottovaluti questa condizione.

Il cuore ‘grande’

Il messaggio degli esperti è chiaro. Chi ha il cuore ‘grande’, ovvero soffre di ipertrofia ventricolare sinistra, deve fare attenzione. E sottoporsi a test mirati, per capire se e come controllare al meglio questa condizione che nella maggior parte dei casi può far seguito ad un’ipertensione non adeguatamente controllata ma può anche essere il segnale di una vera e propria malattia come la cardiomiopatia ipertrofica. O magari in chi fa sport, essere conseguenza dell’allenamento, con adattamento del muscolo cardiaco ad un’attività intensa, come accade nel classico cuore d’atleta.

“In questa situazione il sovraccarico di volume e di pressione del ventricolo sinistro in seguito ad un allenamento intenso e prolungato può portare ad un aumento degli spessori del ventricolo sinistro – segnala Ciro Indolfi, Presidente della società Italiana di Cardiologia (Sic) – .Ciò si accompagna ad un aumento della gittata cardiaca, ad una riduzione della frequenza cardiaca, ad un aumentato riempimento diastolico e, a volte, ad una dilatazione delle camere cardiache. Nonostante queste modifiche la funzione di pompa del cuore dell’atleta rimane normale e il soggetto non ha sintomi”.

Non sottovalutare il problema

Attenzione però: non sempre è così. L’allargamento del cuore non deve essere banalizzato ed occorre richiamare l’attenzione su questo segno da non sottovalutare, che a volte può anche richiedere lo stop dell’attività agonistica, sono gli esperti di cardiologia.

E’ fondamentale che, pur nella complessità di un quadro difficile da analizzare in molti casi, lo specialista possa distinguere tra il naturale ‘rimodellamento’del cuore e la presenza di una malattia, che a volte può avere anche cause genetiche e quindi essere particolarmente problematica da gestire in chi fa sport.

Lo sport cambia il cuore

“L’ipertrofia ventricolare sinistra può essere un fisiologico adattamento del cuore all’attività fisica intensa. Sono tanti gli sport che, col tempo, possono aumentare lo spessore del muscolo cardiaco – conferma Silvia Castelletti, cardiologa dello sport presso l’Istituto Auxologico Italiano di Milano. In questi casi, ovviamente, sospendendo lo stress indotto sul cuore dagli sforzi ripetuti legati allo sport praticato si può avere una regressione parziale o totale. Ma in certi casi all’origine della situazione può esserci una malattia cardiaca ereditaria che può predisporre a morte improvvisa, in particolare durante sforzo, come la cardiomiopatia ipertrofica”.

La cardiomiopatia ipertrofica è tra le malattie cardiache ereditarie più comuni: ne è affetta una persona su 500 circa. “Per quest’ultima purtroppo a quanto ci consta non sono sufficienti un’alimentazione sana ed un farmaco. O meglio: nei casi genetici ereditari non si può proprio guarire definitivamente dalla condizione perché non abbiamo una terapia genica in grado di modificare il DNA ma disponiamo solamente della possibilità di prevenire le complicanze e la morte improvvisa bloccando lo sportivo dall’attività fisica”, aggiunge l’esperta.

I casi a rischio

Insomma: per i cardiologi dello sport, così come per i medici sportivi, c’è un compito davvero ingrato: dover distinguere tra quadri che non creano alcun rischio e si possono considerare quasi fisiologici e cuori che invece hanno la predisposizione genetica ad aumentare gli spessori o i volumi del cuore e magari a sviluppare aritmie gravissime già in giovane età. “Quando c’è il sospetto di una malattia potenzialmente pericolosa per la vita, abbiamo il dovere di fermare l’atleta: le cronache riportano di stop di sportivi di fama internazionale che hanno visto bloccare l’attività agonistica proprio per situazioni di questo tipo”, ribadisce Castelletti.

Più patologie

Il messaggio degli specialisti è chiaro. Prima di parlare di cuore d’atleta e di trattamenti specifici bisogna fare un punto preciso, a volte difficile da ottenere. “Il cuore d’atleta deve essere differenziato da altre importanti patologie come la cardiomiopatia ipertrofica, la cardiomiopatia dilatativa, la cardiopatia ischemica, il miocardio non compatto e la displasia aritmogena che ovviamente non si curano con la dieta – ribadisce Indolfi – .La diagnosi differenziale tra cuore d’atleta e patologie cardiache vere e proprie si effettua nella maggioranza dei casi oltre che con l’ecocardiografia che rimane la tecnica standard di screening con altre metodiche come la risonanza magnetica, il test da sforzo, la Tac cardiaca”.



www.repubblica.it 2022-01-05 17:23:43

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