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Gli effetti dello stress sul cervello: le donne sono più sensibili

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Le donne reagiscono allo stress in modo diverso dagli uomini: è uno dei dati che emergono da un recente studio internazionale sugli effetti dello stress cronico sul cervello. “A dieci anni da una prima rivista che aveva tra gli autori Bruce Mc Ewen, uno dei più grandi esperti sullo stress, abbiamo fatto il punto sugli studi più recenti per capire meglio cosa succede nel nostro cervello quando affrontiamo un’esperienza stressante”, spiega Maurizio Popoli, docente del dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università Statale di Milano, tra i primi firmatari dell’articolo pubblicato da Nature Reviews Neuroscience.

Obiettivo dei ricercatori, individuare fattori di rischio ed elementi protettivi studiando gli effetti dello stress sul cervello a livelli diversi: dai meccanismi molecolari/cellulari nelle sinapsi all’attivazione/inibizione di circuiti neurali, alla neuroarchitettura (sviluppo dei dendriti e densità delle sinapsi) e alla connessione tra reti neurali su larga scala: “Questi ultimi sono gli studi più innovativi, che mostrano come lo stress agisca sui circuiti che permettono alle diverse aree cerebrali di scambiarsi informazioni”, spiega Popoli. Un esempio degli effetti associati a questi circuiti è la ruminazione di pensieri negativi, la concentrazione su se stessi caratteristica di alcuni disturbi mentali.

Un’analisi dettagliata, che mostra come maschi e femmine reagiscano agli eventi stressanti in modo diverso: “Un dato emerso recentemente dagli studi su animali – solo da alcuni si è cominciato a utilizzare per la ricerca animali di sesso femminile -ma anche da alcuni studi clinici, e che può contribuire a spiegare le differenze nella manifestazione dei disturbi mentali “, osserva Popoli. Sappiamo per esempio che le donne hanno incidenza doppia di depressione e disturbo da stress post traumatico rispetto agli uomini, “anche se possono contare su un fattore protettivo importante, gli estrogeni”, prosegue il docente. ” Ormoni che in piccola parte giocano un ruolo anche negli organismi maschili, visto che una parte del testosterone si trasforma in estradiolo con effetto protettivo”. La reazione maschile allo stress però è diversa, e può esprimersi attraverso comportamenti aggressivi e violenti.

Anche più interessanti gli studi sui diversi effetti biologici dello stress sull’architettura cerebrale, e sull’attivazione o il silenziamento di diversi geni: “Tutti elementi”, osserva Popoli “che potrebbero aiutare a proporre terapie mirate in base al genere”. Si è visto poi che uomini e donne reagiscono diversamente allo stress perinatale, legato cioè a eventi verificatisi durante la gravidanza o nella primissima infanzia: “Negli uomini c’è un aumento del rischio di patologie legate alla socialità, come ADHD o autismo, mentre nelle donne aumenta il rischio di depressione o PTSD (disturbo da stress post traumatico)”, osserva Popoli. “Anche se studi su modelli animali mostrano che le femmine sono meno vulnerabili dei maschi allo stress prenatale, mentre sono più fragili rispetto a eventi stressanti successivi”.

Ma cosa è esattamente lo stress, e perché può renderci così fragili? “Possiamo definirlo come un modo di rispondere alle modificazioni ambientali, che diventa fattore di rischio quando non c’è una risposta adattativa, tale cioè da permetterci di raggiungere un nuovo equilibrio”, spiega Popoli. A fare la differenza sono vari fattori, la qualità e quantità dell’evento stressante ma anche la sensazione di essere in grado di controllare ciò che ci succede. Uno dei risultati importanti dello studio è quello di aver approfondito gli effetti dello stress acuto: “Abbiamo visto che anche l’esposizione a un singolo evento stressante traumatico può avere conseguenze prolungate nel tempo, e facilitare lo sviluppo di malattie mentali”, osserva Popoli.

Anche se a differenza dello stress cronico che ci riguarda un po’ tutti, ad aver vissuto un’esperienza di stress traumatico acuto è circa la metà della popolazione, con effetti più o meno gravi. L’obiettivo di questo tipo di ricerca è proprio individuare biomarcatori di vulnerabilità o resilienza e individuare nuovi bersagli farmacologici. Una ricerca che si concentra soprattutto sul sistema glutamatergico, in cui si vedono le modificazioni funzionali causate dallo stress. “Circa l’80% dei neuroni appartiene a questo sistema”, spiega Popoli.

“Il nostro cervello è sostanzialmente una macchina eccitatoria in cui gioca un ruolo essenziale il sistema glutamatergico, a sua volta controllato dl sistema inibitorio gabaergico e finemente modulato da neurotrasmettitori come la serotonina o la noradrenalina, presenti in quantità minori ma con un ruolo fondamentale”. E proprio sul sistema glutamatergico si appuntano le speranze per nuovi farmaci antidepressivi come la ketamina che ha aiutato a capire anche i meccanismi della patologia “e al momento rappresenta”, ricorda Popoli, ” il primo farmaco innovativo contro la depressione emerso dopo decenni, che agisce su meccanismi diversi rispetto a quelli serotoninergici/noradrenergici”.



www.repubblica.it 2022-01-15 07:00:00

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