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Lattes, Jona, Salomone: storie di scienziati segnate dalle leggi razziali 

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RAFFAELE Lattes era un chirurgo torinese che dovette smettere di curare chi non era ebreo, lasciare il posto in università ed emigrare negli Stati Uniti. Ettore Ravenna finì per insegnare scienze in una piccola scuola ebraica. Franco Salomone si trasferì in Israele da dove mantenne i suoi legami con l’Italia facendosi spedire libri e pubblicazioni scientifiche. Giuseppe Jona, anatomopatologo di spicco e presidente della comunità ebraica di Venezia, si sacrificò per salvare dai rastrellamenti tanti suoi concittadini. Tutti loro avrebbero continuato a contribuire allo sviluppo dell’anatomia patologica italiana, se solo gli fosse stato consentito. Queste e altre storie di noti anatomo patologi ebrei, costretti tra il ’38 e il ’44 a rinunciare al proprio lavoro in patria, sono al centro di un’analisi storica realizzata dalla comunità scientifica ebraica, pubblicata sulla rivista scientifica Pathologica in occasione della Giornata della Memoria. Una pagina di storia che mette in luce le conseguenze delle leggi razziali sulla ricerca scientifica in ambito patologico e su tanti studi clinici che avrebbero potuto svolgersi in Italia. “Negli anni più bui delle leggi razziali, furono moltissimi gli ebrei mandati via da università e ordini professionali”, dice Riccardo Di Segni, radiologo e Rabbino Capo della comunità ebraica di Roma: “La loro comunità era molto presente nel mondo medico, con un grande numero di eccellenze sia nella pratica clinica che nella ricerca. Ne sono un esempio Salvatore Luria e Rita Levi Montalcini, premi Nobel di origine ebraica”.

 

Vite di scienza spezzate

Dopo la pubblicazione del Manifesto sulla Razza il 14 luglio 1938 e l’annuncio di provvedimenti legislativi contro gli ebrei, le condizioni in cui vissero e operarono molti medici e insegnanti cambiarono per sempre. Quasi 900 cattedre universitarie rimasero vacanti e in tanti tra medici e scienziati persero la vita o furono costretti a scappare all’estero. Raffaele Lattes è uno di questi. Fu costretto a lasciare il suo lavoro da insegnante per fuggire frettolosamente dall’Italia nel 1940. Partì con la moglie, un’ebrea nata a Berlino, e riprese a lavorare come chirurgo in un piccolo ospedale di New York, fino a quando trovò un posto come anatomo-patologo alla Columbia University. Qui divenne capo dipartimento e fu uno dei patologi chirurgici più influenti della sua generazione. Dopo la morte della moglie, Lattes tornò in Italia e morì a Torino nel 2003. I suoi studi influenzarono in modo significativo la patologia anatomica e oggi è ricordato come uno tra degli specialisti più influenti nella storia di questa disciplina.

 

Altrettanto intensa è la storia di Giuseppe Jona, patologo molto apprezzato, che unì la sua consolidata esperienza in patologia anatomica all’interesse per la medicina clinica interna. Veneziano di nascita, molto legato alla sua città, fu a capo per 40 anni dell’Unità di Anatomia Patologica dell’Ospedale Comunale di Venezia e fondò uno studio medico dove si prese cura gratuitamente delle persone meno abbienti. Con l’entrata in vigore delle leggi razziali, accettò di diventare presidente della comunità ebraica lagunare e durante gli anni della guerra difese fino all’ultimo gli ebrei della sua città dalle aggressioni antisemite. Quando i tedeschi gli ordinarono di consegnare le liste dei residenti della comunità ebraica, disse loro di tornare il giorno successivo. Durante la notte bruciò quelle stesse liste per non permettere alla Gestapo di rintracciarli e poi si suicidò, mettendo in salvo molti suoi concittadini. Oggi un padiglione dell’ospedale civile veneziano è dedicato a lui.

 

Anche un suo allievo, Enrico Franco Salomone, visse sulla sua pelle l’odio delle leggi antisemite. Esperto internazionale di leishmaniosi viscerale, prese per un paio di anni il posto di Jona a capo dell’Anatomia patologica all’ospedale di Venezia e successivamente divenne professore ordinario all’Università di Pisa, da cui fu costretto ad andare via nel 1938. Raggiunse lo Stato di Israele dove divenne direttore dell’Istituto di Anatomia Patologica dell’Hadassah Medical Center e dell’Università Ebraica. I suoi legami con l’Italia rimasero sempre forti e fino a quando morì si fece sempre spedire libri di testo e pubblicazioni scientifiche. Tra i giovani anatomopatologi che lavorarono con Giuseppe Jona ci fu poi Ettore Ravenna. Quando le leggi razziali entrarono in vigore, l’università in cui insegnava fece distribuire dei questionari in cui i docenti dovevano dichiarare la loro “posizione razziale”. Ravenna, dal 1911 professore ordinario di patologia anatomica, non esitò a dichiararsi ebreo e perse il lavoro. Si ritrovò così ad insegnare in una piccola scuola ebraica di Ferrara, sua città natale, insieme ad altri docenti universitari ebrei.

 

Una pagina di storia da non dimenticare

“Avvicinandoci alla Giornata della Memoria è importante rendere vivo il ricordo di questa triste pagina di storia e mostrare alle giovani generazioni come è iniziato un processo che ha portato all’abisso”, commenta Mattia Barbareschi, direttore di Anatomia e Istologia Patologica dell’Ospedale Santa Chiara di Trento, editore della rivista Pathologica, e tra gli autori dell’articolo Il racconto della comunità scientifica mette in luce le conseguenze delle leggi razziali sulla ricerca scientifica e sui tanti studi clinici che avrebbero potuto svolgersi in Italia:  “Le deportazioni furono un abominio – conclude Carlo Patriarca, direttore dell’Anatomia Patologica all’Ospedale Sant’Anna di Como che firma l’analisi insieme anche a Giorgio Sirugo – ma riteniamo che sia anche doveroso ricordare tutti quei medici di talento che furono costretti a interrompere i loro studi scientifici, privandosi della loro identità professionale”.



www.repubblica.it 2022-01-25 19:32:19

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