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Parkinson, al via uno studio italiano sulla mutazione genetica più frequente

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CI SONO mutazioni genetiche che aumentano di ben 5 volte il rischio di ammalarsi di Parkinson, una tra le patologie neurodegenerative più diffuse, che solo nel nostro paese interessa circa 400 mila persone. Sono quelle che colpiscono il gene GBA e sono piuttosto frequenti: in Italia, circa il 14% dei pazienti è portatore di una mutazione in GBA, e lo è addirittura il 20% di quelli con esordio della malattia sotto i 50 anni. Un paziente su cinque ha in pratica un’alterazione di questo gene, ragione che ha spinto i ricercatori dell’Istituto Virtuale Nazionale Parkinson, uno dei cinque creati nell’ambito della Rete Nazionale IRCCS Neuroscienze e Neuroriabilitazione del Ministero della Salute, e 16 dei 30 IRCCS aderenti alla Rete, a condurre un’indagine arruolando 1.600 pazienti per capire meglio il ruolo di queste mutazioni nella malattia. E per studiare questo gene, è stato sviluppato un metodo innovativo, che combina l’amplificazione selettiva dell’intero gene, il sequenziamento con tecnologia NGS (Next Generation Sequencing) e un’analisi bioinformatica mirata. Una tecnica, questa, che permetterà di identificare le mutazioni più complesse con un indice di sensibilità molto elevato, e con costi e tempi ridotti rispetto alle tecnologie tradizionali. Nel giro di un anno e mezzo, i ricercatori contano infatti di raccogliere un numero di dati clinici e molecolari sufficienti a spiegare le correlazioni tra il fattore di rischio genetico e la malattia.

L’obiettivo dello studio

Il gene GBA codifica per l’enzima glucocerebrosidasi attivo nei lisosomi, cioè un “sistema digerente” della cellula deputato ad eliminare organelli danneggiati e molecole tossiche: in pratica, i “rifiuti” da smaltire. Se questo enzima funziona male, i neuroni fanno più fatica a liberarsi dalle sostanze tossiche, in particolar modo dall’alfa-sinucleina, la proteina considerata la principale responsabile del Parkinson e che, accumulandosi in eccesso, provoca la degenerazione dei neuroni. “Sappiamo con certezza che nei pazienti con una copia alterata del gene GBA il rischio di sviluppare la malattia è molto alto e pensiamo anche che incida sulla gravità dei sintomi e sul decorso della malattia. Ma il perché di questo meccanismo è tutto da capire ed è quello che intendiamo fare”, spiega Pietro Cortelli, coordinatore dell’Istituto Virtuale Nazionale Parkinson: “Attraverso la Rete, contiamo di analizzare i campioni di un centinaio di pazienti per ogni IRCCS coinvolto, e di raccogliere dati clinici talmente dettagliati da consentirci di fare delle correlazioni statistiche precise tra il tipo di mutazione individuata e il quadro clinico più o meno grave di ogni paziente”.

Un gene complicato

L’indagine record interessa uomini e donne affetti da Parkinson, indipendentemente dall’età di esordio. Per effettuare l’analisi mutazionale completa del gene, i ricercatori si baseranno su un protocollo innovativo messo a punto da un team di tre ricercatori degli IRCCS Ca’ Granda, Mondino e Ospedale San Raffaele (Alessio Di Fonzo, Enza Maria Valente e Marco Morelli), che permetterà di analizzare un numero considerevole di campioni in modo molto veloce ed efficiente. “Il GBA è un gene molto complicato da analizzare, perché presenta anche uno pseudogene, cioè un gene fratello molto simile che non produce nessuna proteina e non ha quindi alcuna importanza ai fini della nostra analisi – sottolinea Enza Maria Valente, professoressa ordinaria di genetica medica presso il Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Pavia e responsabile del Centro di neurogenetica dell’IRCCS Fondazione Mondino – Proprio lo pseudogene può creare molte difficoltà, perché ‘confonde le acque’ nel processo di analisi e spesso non è semplice capire se una mutazione identificata si riferisca al gene attivo o allo pseudogene“.
Sviluppare dei protocolli per amplificare e sequenziare selettivamente il gene e non lo pseudogene è quindi molto complesso. “Visto che anche le nuove tecniche di sequenziamento avevano difficoltà a distinguere le varianti tra gene e pseudogene – continua la ricercatrice – abbiamo pensato di sviluppare un protocollo che ci permettesse di amplificare un frammento di Dna molto grande, contenente in maniera specifica il gene attivo, e dare solo questo frammento ‘in pasto’ al sequenziatore. Un’azione supportata anche da un’analisi bioinformatica ad hoc, che ci consente di utilizzare NGS, sfruttare la sua velocità, precisione ed economicità, e affermare con sicurezza che le mutazioni individuate si riferiscono al gene giusto”.

Che cosa ci si aspetta

Gli obiettivi da raggiungere per i ricercatori sono chiari: identificare i portatori di mutazioni di questo gene e comprendere le correlazioni tra il tipo di mutazione e il quadro clinico del paziente, per arrivare infine allo sviluppo di strategie terapeutiche personalizzate. “Entro giugno puntiamo a inserire i dati clinici in un database comune – conclude Cortelli – entro settembre ad avere i campioni del Dna di tutti i pazienti arruolati, ed entro l’anno a procedere con l’analisi genetica”.



www.repubblica.it 2022-04-01 12:38:32

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