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Barbara e l’arte come terapia contro il tumore: “Disegnavo quello che vedevo in osped…

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“Poco prima dell’anestesia mi hanno lasciato da sola in una stanza. Guardavo una parete verde su cui c’erano segni bianchi e verdi. Quello è il momento esatto in cui ho avvertito di nuovo, dopo anni, il bisogno di dipingere”.

Barbara Amadori non ha ancora 40 anni e arriva dall’Accademia di Belle Arti di Urbino, dove ha studiato pittura e arti visive contemporanee. È di Gualdo Tadino, un’altra cittadina della bella Umbria. E qui, a maggio, il Museo Casa Cajani ospiterà la mostra collettiva Arte come Cura: un’idea – o sarebbe più corretto dire un’esigenza – nata dentro un ospedale nel 2019, dopo la diagnosi di cancro al seno e quattro interventi che l’hanno profondamente cambiata, anche come artista, come ci racconta nella newsletter di Salute Seno.

La newsletter – come iscriversi

Dall’idea alla realizzazione del progetto sono passati due anni lunghi e difficili, con in mezzo la pandemia. Grazie al sostegno dell’associazione “Altotevere contro il cancro” e con l’aiuto dei curatori Nello Teodori e Roberto Vecchiarelli, Barbara ha chiamato con sé quindici artiste. Pittura, fotografia, installazioni, scultura, ricamo, design: nessun mezzo espressivo escluso. E al suo fianco c’era sempre Luciano Carli, il chirurgo che l’ha sostenuta, anche dal punto di vista umano e artistico, durante tutto il percorso.

Un medico “mecenate”

Il progetto, racconta Barbara, deve molto alla sensibilità verso l’arte di quel medico. “Con lui si è instaurato da subito un rapporto di empatia che mi ha permesso di condividere tanto: i crolli emotivi che celavo agli altri, le incertezze, le paure, ma anche la mia passione per l’arte. Nei momenti di maggiore tensione, prima degli interventi, mi ritrovavo a parlare di opere e scritti… discorsi mescolati a quelli sul cancro. Grazie a lui ho scoperto l’esistenza di opere legate a questa malattia, che non conoscevo. E mi ha dato l’input per ricominciare a creare”. Da quella esperienza sono nati sei lavori, tutti legati all’ospedale e al tumore al seno.

Il momento della diagnosi

Come quasi sempre accade, la diagnosi di cancro era arrivata del tutto inaspettata. Barbara aveva 37 anni e nessun sospetto di quello che avrebbe dovuto affrontare da lì a poco. Sua sorella gemella voleva cominciare a fare dei controlli per la salute e l’aveva coinvolta. Tra questi c’erano anche l’ecografia mammaria e la mammografia. Se fosse stato per lei, non avrebbe fatto questi esami, ma visto che c’era…

Nella sua mente, la possibilità che potessero rivelare “qualcosa” non era contemplata. “Probabilmente devo la vita a mia sorella, perché chissà quando lo avrei scoperto il tumore”, dice: “Ho deciso di restare in Umbria e di farmi curare a Città di Castello, perché avevo trovato un’umanità assoluta e una gentilezza che mi hanno sostenuto. Ho avuto fiducia nel personale sanitario e mi sono affidata”.

Una linfa creativa inaspettata

Apparentemente Barbara aveva reagito con grinta e forza ma in realtà, racconta, si era chiusa molto in se stessa. La scrittura, la pittura, la fotografia e la scultura sono state quelle vie di fuga che le hanno permesso di esternare ciò che provava. “C’è stata una linfa creativa inaspettata. Ho cominciato disegnando su un taccuino quello che vedevo in ospedale: particolari della stanza, di pavimenti, di pareti, o ciò che c’era fuori dalla finestra. Riguardandolo ora, mi sembra come se in quei momenti avessi ricercato il bello. Non traspare alcun riferimento alla sofferenza. Poi, non potendo dipingere per via del drenaggio, ho preso un rotolino di carta delle vecchie casse e ho cominciato a scrivere, mischiando i miei pensieri alle frasi degli infermieri, dei medici, delle compagne di stanza che captavo, a metà tra un flusso di coscienza e un registratore”.

Una delle opere che sono seguite prende vita proprio dai tre punti di sospensione della scrittura. “Si sono trasformati in cerchi su di una parete, riempiti di cielo. Costellazioni come persone. Guardarli mi dà il senso dello spaesamento, lo stesso che ho provato quando ho ricevuto la notizia del tumore. Mi ero sentita come un’adolescente che guarda verso l’alto e sente di essere piccola nell’infinito”.

La nascita del collettivo e la realizzazione della mostra

A quel punto ha contattato le altre artiste per cominciare a realizzare la mostra collettiva. “Le conoscevo già e apprezzo molto i loro lavori. Si sono dimostrate incredibilmente ricettive. Hanno ascoltato la mia storia e compreso fino in fondo il progetto. Insieme, credo che siamo riuscite a trattare questo tema in profondità e da diversi punti di vista, senza cadere nella retorica e nella pesantezza. Inaspettatamente abbiamo trasmesso un messaggio positivo”.

Nei giorni scorsi, la mostra ha debuttato a Città di Castello e alcuni dei visitatori si sono ritrovati a condividere il proprio percorso di malattia. “Uno di loro mi ha detto che si capisce che il progetto è nato in ospedale”, ci dice Barbara: “Attraverso l’arte, c’è stato un cambiamento nelle relazioni. Le persone hanno colto il vero e il vissuto dietro alle opere.  Arte come cura e come linguaggio. Era il nostro obiettivo. Il perché lo scriveva Pascoli… Perché dolore è più dolor, se tace”.

Informazioni sulla mostra

La mostra “Arte come Cura” sarà al Museo Casa Cajani dal 7 al 29 maggio, con il patrocinio del Comune e del Polo Museale di Gualdo Tadino. Il catalogo è edito da Magonza Editore. Le artiste che espongono le proprie opere sono: Barbara Amadori, Catia Ceccacci, Chiara De Megni, Martina Donnini, Giulia Filippi, Wilma Lok, Ilaria Margutti, Donatella Marinucci, Lidia Nizzo, Barbara Novelli, Elisa Pietrelli, Virginia Ryan, Isabella Sannipoli, Meri Tancredi, Maddalena Vantaggi, Rita Vitali Rosati.



www.repubblica.it 2022-04-08 10:25:09

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