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Sigaretta elettronica: sicuri che faccia meno male di quella tradizionale?

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Volete smettere di fumare? È probabile che la sigaretta elettronica non vi aiuterà. Questa la tesi a corredo di un ampio report commissionato dal Dipartimento della Salute del Governo australiano e condotto dal Centro nazionale per l’Epidemiologia e la Salute pubblica del Paese, che anzi mette in guardia sui rischi per la salute delle e-cig e propone ai governi addirittura di bandirne la vendita in tutto il mondo.

Si tratta dell’analisi più ampia della letteratura scientifica finora prodotta sul tema e le conclusioni sono piuttosto nette: le evidenze che le sigarette elettroniche servano in qualche modo a smettere di fumare sono limitate o nulle, mentre i non fumatori che provano per la prima volta a “svapare” sarebbero addirittura tre volte più propensi a cominciare a fumare sigarette tradizionali in futuro.

Ma non è finita qui: il rapporto documenta impatti significativi nell’uso prolungato, dall’avvelenamento a ustioni e lesioni, fino ad arrivare alle convulsioni innescate dall’inalazione di sostanze tossiche. “I rischi principali sono per giovani con meno di 24 anni – spiega Emily Banks, professoressa di Epidemiologia e Salute pubblica all’Australian National University che ha coordinato il lavoro – . Per loro abbiamo riscontrato maggiori probabilità di soffrire di avvelenamento, ustioni e soprattutto di sviluppare dipendenza”.

Nonostante alcune critiche per i risultati dello studio, che non lasciano alcun appello a un mercato che oggi vale circa 22 miliardi di dollari, il lavoro dei ricercatori australiani si inserisce in un ampio filone di analisi che nell’ultimo periodo stanno mettendo fortemente in dubbio il potenziale di cessazione del fumo di tabacco rappresentato dalle e-cig. È la stessa Oms a sostenere che “non esistono robuste evidenze scientifiche in tal senso”.

Al contempo, dalla gran parte delle review internazionali sul tema stanno emergendo correlazioni chiare con malattie croniche dei polmoni, asma, ipertensione e rigidità dei vasi sanguigni.

Com’è fatta una e-cig e perché può diventare pericolosa

Facciamo un passo indietro. Le sigarette elettroniche, o e-cig, nascono 20 anni fa dalla mente di Hon Lik, un brillante medico farmacista di Pechino. Sono nient’altro che tubetti riempiti con liquidi aromatizzati, che vengono scaldati con una resistenza elettrica e vaporizzati per poi finire nei polmoni dell’utilizzatore sotto forma di aerosol. Non avviene la combustione, ma c’è comunque un riscaldamento.

L’idea originale di Lik era quella di offrire un metodo nuovo ai fumatori per uscire dal tunnel della dipendenza verso la nicotina. Negli anni, in effetti, le e-cig sono diventate un’alternativa efficace in caso di fallimento dei tradizionali protocolli di cessazione e sono uno strumento impiegato non di rado anche nei circa 300 centri antifumo del nostro Paese.

Ma ciò che sta emergendo, grazie a dati epidemiologici sempre più robusti e analisi indipendenti dei maggiori centri di ricerca del mondo, è che le ripercussioni sulla salute potrebbero essere del tutto comparabili con quelle scatenate dalla cara vecchia sigaretta.

Il tabacco, infatti, lascia il posto al cosiddetto e-liquid, un mix di acqua, glicole propilenico, glicerina vegetale e aromatizzanti che danno i gusti più vari. Il fatto è che il fumatore assume ad ogni svapata una grande quantità di composti chimici complessi, che secondo gli esperti può causare lesioni anche gravi e a lungo termine, come disturbi neurologici e dell’apprendimento, mentre per malattie dell’apparato respiratorio e cardiovascolare, così come per il cancro, gli impatti non sono a oggi conosciuti.

La più recente analisi tossicologica condotta sul fumo prodotto dalla sigaretta elettronica ha identificato addirittura 243 diversi composti chimici, 38 dei quali sono classificati come pericolosi o altamente tossici, uno vietato dagli standard internazionali e tre permessi ma presenti a livelli da avvelenamento. E poi i prodotti di reazione, tra i quali acetaldeide, acroleina, formaldeide e ossido di propilene, tutti possibili o certi cancerogeni secondo Iarc. Ecco allora l’analisi del team di epidemiologi australiani, che concludono che al momento “la sicurezza per l’utilizzo delle e-cig non è ancora stata dimostrata”.

Big tobacco e marketing “catchy” sui giovani

Si svapa inalando una quantità minima di nicotina, quella necessaria all’organismo che ha sviluppato dipendenza in anni di consumo di sigarette tradizionali. Così si eliminano gran parte dei rischi legati al fumo e non ci si sporcano nemmeno le mani. Sono le parole con cui le più grandi aziende produttrici di e-cig hanno conquistato i mercati di Stati Uniti, Canada, Regno Unito e Russia, i maggiori consumatori. E poco importa che questi marchi si chiamino British American Tobacco, Lorillard e Philip Morris International, sempre loro.

“A preoccuparci di più è proprio il marketing di questi nuovi prodotti che si rivolge principalmente ai giovani e presenta la sigaretta elettronica come valida e più salutare alternativa a quella tradizionale – osserva l’epidemiologa – e li conquista con gusti chimici accattivanti”. Stiamo creando una nuova generazione di fumatori 2.0 – scrivono i ricercatori australiani – ugualmente dipendenti dalla nicotina e con più probabilità di cominciare a fumare sigarette tradizionali.

I numeri del fumo e il parere della Ue

Nel mondo sono più di un miliardo i fumatori, l’80% dei quali vivono in Paesi a medio e basso reddito. Risultato? Ogni anno oltre 8 milioni di vittime per fumo secondo Oms. Stando alle stime più accreditate, i consumatori di sigarette elettroniche sono invece tra i 50 e i 100 milioni, giovanissimi e localizzati prevalentemente in Paesi industrializzati.

Un trend ben visibile anche in Italia, dove negli ultimi quattro anni il numero di studenti che le fumano è passato dal 2.9% all’8.2% del totale e il 76% degli under-15 le riesce a reperire sul mercato, nonostante siano vietate sotto i 18 anni. Banks e colleghi arrivano a definire il consumo di e-cig tra gli under-18, ancor più diffuso in Australia e Stati Uniti, come una vera e propria “crisi di salute pubblica”.

Nell’aprile del 2021 è sceso in campo anche il Comitato scientifico della Commissione europea per valutarne i rischi sanitari emergenti. Nelle conclusioni si parla di “danni irritativi alle vie respiratorie e al sistema cardiovascolare” così come di “moderati rischi di cancerogenicità”. Che fare allora? “L’obiettivo del nostro rapporto era fornire evidenze scientifiche per i decisori politici – conclude Banks – . Sulla base di queste prove sempre più solide li incoraggiamo a prendere decisioni appropriate”.



www.repubblica.it 2022-04-27 09:31:26

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