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Malattie rare. “Mio figlio Diego e l’importanza della ricerca”

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Diego ha dieci mesi di vita e una malattia genetica rarissima. Per cui non esiste ancora una cura e tutta la speranza è affidata alla ricerca scientifica. “La gravidanza di mia moglie è stata serena, così come il parto. Ma a 5 mesi e mezzo, quando gli altri bambini sperimentavano nuovi movimenti, lui ha smesso. Si rotolava da un fianco all’altro e a un certo punto non l’ha fatto più. Ha avuto come una regressione motoria”, racconta il padre. “Non abbiamo pensato a una malattia grave ma a un leggero ritardo e siamo andati dall’osteopata con l’idea di aiutarlo nello sviluppo motorio. L’osteopata ha capito che era interessata la parte neuronale e ci ha consigliato di rivolgerci a un centro specializzato”. La coppia, che abita a Imola, ha preso appuntamento all’ospedale Salesi di Ancona, città di cui sono originari. “Era fine di gennaio. Lo hanno ricoverato con mia moglie, cinque giorni di esami. Quindi la diagnosi: gangliosidosi gm1. Mi ricorderò per tutta la vita quel venerdì sera”, racconta il padre.

Una malattia rara

Un nome difficile da pronunciare, una diagnosi difficile da elaborare. Perché la gangliosidosi è una malattia metabolica neurodegenerativa che colpisce un nato su centomila / duecentomila. Ne esistono tre tipi e GM1, che esordisce prima dei 6 mesi di vita, è la più grave. È dovuta alle mutazioni di un gene che si chiama GLB1 e che codifica per la beta-galattosidasi. Il deficit dell’attività enzimatica provoca l’accumulo tossico di gangliosidi in tessuti del corpo “sbagliati” e, in particolare, nel cervello. Si manifesta con un’ampia gamma di segni neuro viscerali, oculari e dismorfismi.

Da lì è stata una corsa frenetica per capire come arginare la malattia: consulti al Bambino Gesù di Roma e al Meyer di Firenze. “Ci hanno spiegato la gravità. Quando ti danno una diagnosi di malattia metabolica, all’inizio non capisci. Pensi a una cura. Ci hanno raccontato quale sarebbe stata l’evoluzione. Veloce, due anni di vita”.

Diego deve fare fisioterapia tutti i giorni (“è un combattente”, dice il papà) per rinforzare il tono muscolare che va indebolendosi sempre più e dunque per ritardare quanto possibile l’avanzare della malattia, che può portare alle convulsioni o all’incapacità di nutrirsi in modo naturale. Ma le conseguenze non sono solo motorie, sono colpiti anche vista e udito.  “Tentiamo di stimolarlo con giochi ad alto contrasto, in cui ci sono colori come il bianco e il nero. Non sappiamo quanto senta ma sente poco. Vede da vicino un po’ meno da lontano. Lo facciamo giocare. Come dovrebbero fare tutti i bambini, i bambini come lui ancora di più”, racconta il padre.

Giochi speciali

Un impegno costante, quotidiano. Diego ha bisogno di giochi speciali e di supporti fisioterapici. Come quello che i genitori stanno facendo costruire perché possa continuare a uscire con il passeggino. Di busti per mangiare sul seggiolone. Ha bisogno di cure, visite, spostamenti, viaggi all’estero nella speranza di entrare in un protocollo sperimentale. Per questo, per garantire alla famiglia gli strumenti per fare di tutto perché possa vivere una vita quanto più normale possibile, gli amici della coppia hanno aperto una raccolta fondi dedicata (SosteniAmo Diego).

La ricerca

“Non ci sono trial sperimentali in Italia. Ma ad Ancona – aggiunge il padre – ci hanno detto che ne esistono in giro per il mondo messi a punto da case farmaceutiche. Prendono un vettore gli tolgono l’RNA e dentro inseriscono il gene che dovrebbe sostituire il gene difettoso. Ma i criteri di ammissione sono rigidissimi. Abbiamo ancora la speranza di entrare in uno di questi all’Hospital Great Order di Londra. Ci devono dare una risposta a giugno. Ma si tratta di una terapia alla fase preliminare, le ricerche sono partite meno di un anno fa. Stanno ancora studiando la sicurezza e l’efficacia del farmaco”.

Ed è proprio questo che sta a cuore più di tutto al papà di Diego: la ricerca. La ricerca che è ancora agli inizi e per questo non può dare speranza a chi ha figli colpiti da questa malattia. “È importantissimo che se ne parli perché bisogna finanziare tutti gli enti che vogliono studiare terapie per le malattie metaboliche. Non augurerei mai a un’altra famiglia di passare quello che stiamo passando noi. Spero che la storia di Diego possa aprire delle possibilità”.

 



www.repubblica.it 2022-05-04 10:19:24

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