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Il nostro orologio biologico? Conoscerlo ci aiuta a vivere meglio e di più

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Siamo un prodigioso insieme di microscopici orologi. Se potessimo sentirli, percepiremmo il loro ticchettio, in ogni organo, in quasi ogni cellula. “Anche in quelle della pelle”, dice Michael Young, statunitense, premiato con il Nobel nel 2017 per la scoperta di due geni che regolano questa macchina del tempo sepolta nel nostro genoma da tempi immemorabili, perlomeno – aggiunge – “da quando la rotazione della Terra ha rallentato, intorno a 2 miliardi di anni fa, e si è stabilizzata su un ciclo di 24 ore”.

“È stata una sorpresa scoprire che questi meccanismi regolatori siano così diffusi e allo stesso tempo così localizzati”, aggiunge il professore della Rockefeller University, la celebre istituzione privata nell’Upper East Side di Manhattan. Per un paio di giorni a Torino, in occasione dell’inaugurazione della “Giuseppe Levi Talent School” dell’Università di Torino, ricorre più volte a questa parola: “sorpresa”.

I ritmi circadiani e la cronomedicina

E i suoi studi hanno sorpreso gli specialisti come ciascuno di noi, tanto che – sottolinea – “solo adesso le persone iniziano a rendersi conto dell’importanza dei ritmi circadiani”, vale a dire dell’implacabile alternanza giorno-notte che ci sincronizza con il Sole e con gli altri esseri viventi. Grazie a Young è nata una nuova disciplina, la cronobiologia, e oggi siamo agli albori di un approccio che considera potenzialmente rivoluzionario, la cronomedicina. “Non è sufficiente seguire le dosi di un farmaco, è importante sapere in quale preciso momento assumerlo”.

Il premio Nobel Michael Warren Young in una foto del 2017 (Credit: Bengt Nyman/Creative Commons)

Il premio Nobel Michael Warren Young in una foto del 2017 (Credit: Bengt Nyman/Creative Commons) 

L’ora giusta per assumere i farmaci

“La metà, circa, dei 100 farmaci più utilizzati nel mondo prevede bersagli che sono regolati dagli orologi biologici e la loro vita media si aggira intorno alle sei ore: è quindi essenziale scegliere il periodo più opportuno, altrimenti è come buttarli dalla finestra”. Questo piccolo, eppure fondamentale, cambio di paradigma – quantità più ora – “si sta finalmente diffondendo nel settore medico”.

Ma molta ricerca è necessaria e – dice Young – l’industria farmaceutica dovrà fare la sua parte, “a cominciare dai test di laboratorio: quanto a lungo agisce una medicina in ciascuno di noi? E che rapporto stabilisce con la proteina-bersaglio, a seconda che questa sia prodotta in modo costante nella giornata o conosca delle variazioni, con una serie di alti e bassi?”.

I nostri invisibili orologi, in effetti, non sono tutti sincronizzati gli uni con gli altri. Mentre sono stati progettati per riconoscere il susseguirsi dei blocchi di 24 ore, attivano o spengono proteine e funzioni secondo regole specifiche. Si ottiene una sinfonia che a un non addetto ai lavori si espande come una stridente dodecafonia, ma che per la natura è invece una segreta e instancabile armonia.

“Il problema – sottolinea il professore – è quando nell’organismo si scatena un conflitto: gli orologi procedono a ritmi incompatibili e il corpo va in confusione. Il jet lag è il caso tipico”.

Gli effetti dei cambiamenti sul nostro orologio biologico

Oggi è un po’ meno diffuso rispetto all’epoca pre-Covid, visto il crollo dei viaggi intercontinentali, e tuttavia la società ipertecnologica senza giorno né notte, la “24/7” com’è stata iconicamente battezzata, è ideale per fomentare in ognuno di noi questa permanente guerra silenziosa. L’universo digitale e il lockdown giocano con i nostri orologi e ci illudono di poterli ingannare, sebbene non sia così.

Young e il suo team hanno simulato la condizione di isolamento sociale di milioni di persone con i loro animaletti preferiti, i moscerini della frutta, e hanno portato alla luce dati incontrovertibili.

“Quando abbiamo tenuto in isolamento un esemplare, abbiamo osservato che, in queste condizioni, tendeva a nutrirsi di più e a dormire meno. Quando, invece, più esemplari restavano insieme, tendevano a comportarsi in modo diverso. Nella norma”.

Gli effetti dello stress indotto

Era lo stress indotto a fare la differenza. “Abbiamo quindi ottenuto un modello applicabile anche agli umani”. Non essendo possibile curiosare nei nostri cervelli, Young l’ha fatto in quello dei moscerini grazie alla trascrittomica, la tecnica che permette di analizzare le molecole di un tessuto in diretta. Ha così registrato quali geni si attivavano e quali neuroni si accendevano e si spegnevano, decifrando una serie di modificazioni del comportamento delle sue cavie, come quelle legate all’alimentazione e al sonno. Conclusione che ha sorpreso lo stesso Young: “Entrano in azione risposte di tipo involontario”.

Oltre la psiche, è evidente il dominio del DNA e dell’RNA, che ne gestisce i messaggi, e di conseguenza diventa più facile capire la pandemia nella pandemia: il frantumarsi dei rapporti interpersonali spiega perché “in un solo anno i due terzi della popolazione statunitense ha conosciuto un significativo aumento di peso”.

Il virus – aggiunge – è stato anche l’ulteriore prova che lo sfasarsi degli orologi biologici produce “una cascata di effetti”. Tutto il metabolismo è coinvolto e, inevitabilmente, l’impatto dei contagi e anche quello di molti disturbi. “Se siamo a conoscenza di una possibile predisposizione genetica a una malattia, dovremmo fare ancora più attenzione ai ritmi circadiani”.

Tanto più funzionano correttamente, tanto più a beneficiarne è la salute. Può non essere lontano il momento in cui le terapie personalizzate contribuiranno a mettere un po’ d’ordine nel caos delle nostre giornate, portando alla luce un ticchettio finalmente rassicurante.

“Se ti svegli nel cuore della notte e corri verso il frigorifero per abbuffarti con un sandwich o accendi la luce per controllare il laptop, dimentichi che l’organismo è settato per riposare, dal cervello fino al fegato”. Forzarlo contro le leggi di natura è un evidente controsenso. Ci si fa del male.

Il ruolo dei geni

Adesso non possiamo più dire di non saperlo. Il DNA è anche il motore degli orologi. Oltre ai tre geni, chiamati Period, Timeless e Double Time, che hanno fatto vincere il Nobel a Young insieme con Michael Rosbash e Jeffrey Hall, ne sono stati via via identificati altri. “Sono una dozzina e si può dire che adesso possediamo la visione generale del meccanismo”, commenta il professore, ammonendo che tanta perfezione può andare in tilt anche contro la nostra volontà. In alcuni casi il “Grande Orologio” non riesce a funzionare come dovrebbe.

“Abbiamo osservato la mutazione di uno di questi geni nell’1% della popolazione europea. Le persone colpite soffrono di una malattia ereditaria e vivono un costante ritardo di 30-45 minuti rispetto al ciclo delle 24 ore. Così sono costrette a resettarsi ogni giorno, perché il corpo non li prepara al risveglio e non li accompagna nel sonno. È come se soffrissero di un perenne jet lag”. Sono alieni sfortunati, costretti a inseguire senza sosta il respiro del pianeta Terra.

Ritmi circadiani e longevità

Non è un caso che le ricerche di Young siano state spesso messe in relazione con uno dei temi più dibattuti e ossessivamente “pop”: la longevità. Ancora una volta i test con i moscerini rivelano la condivisione degli stessi meccanismi biologici e di destini sorprendentemente simili, quando ci si ritrova intrappolati in situazioni estreme.

“Abbiamo diviso le cavie in due campioni. Quello che aveva accesso illimitato al cibo e quello che poteva nutrirsi soltanto in determinate ore. Il secondo gruppo ha avuto una vita decisamente più lunga”, racconta il Nobel. Che torna a riflettere sull’eredità proveniente dal passato ancestrale degli organismi pluricellulari. “A dispetto delle tante distrazioni dell’ambiente, dovremmo convincerci della necessità di condurre un tipo di vita più coerente con i ritmi circadiani, invece di ingaggiare una costante lotta contro di essi”.

Young ci ricorda l’importanza di guardare più spesso il cielo, immergendoci nella tavolozza dei suoi colori. Il blu – si sa – è legato al risveglio, il rosso al sonno. Nelle cabine dei jet di ultima generazione l’alternanza di quelle tonalità cerca di indurre un’illusione di normalità in passeggeri frastornati. E intanto si stanno studiando le giuste gradazioni di colori nella prossima stazione cislunare – in orbita intorno al nostro satellite – dove gli astronauti continueranno a vivere e lavorare secondo cicli terrestri. “I ritmi circadiani? – strizza gli occhi Young, dandosi la risposta – sono la conseguenza delle leggi dell’evoluzione sul nostro pianeta”.



www.repubblica.it 2022-05-14 06:13:00

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