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Demenza nelle donne, potrebbero entrarci gli ormoni femminili

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C’entra con la pubertà e con la menopausa, c’entra con la gravidanza e anche con l’interruzione della gravidanza. La demenza, quell’insieme di patologie differenti tutte caratterizzate da una drammatica perdita di capacità cognitive di pensiero e memoria che affligge oltre 50 milioni di persone del mondo, più spesso donne che uomini (ma il numero potrebbe triplicare entro la metà del secolo, visto il rapido invecchiamento della popolazione), ha a che fare con la vita riproduttiva femminile e con gli ormoni che la regolano.

L’esposizione agli estrogeni e il rischio di demenza

Uno studio australiano del George Institute for Global Health di Sidney pubblicato su Plos Medicine ha associato infatti il rischio femminile di andare incontro a declino cognitivo nel corso della vita a una minore o maggiore esposizione cumulativa agli estrogeni. E, utilizzando i dati di oltre 273 mila donne raccolti dalla UK Biobank, ha individuato gli eventi della storia riproduttiva più collegati alla probabilità di ammalarsi.

Mestruazioni, parto e menopausa

Al netto di altri fattori che avrebbero potuto influenzare i risultati – per esempio l’età, lo stato socioeconomico, l’abitudine al fumo, l’indice di massa corporea – l’analisi australiana ha indicato che una comparsa precoce o tardiva delle mestruazioni, la giovane età al primo parto e l’isterectomia si collegano a un rischio di ammalarsi di demenza più alto. Al contrario, la gravidanza e l’interruzione della gravidanza, un lungo periodo fertile, una menopausa più tardiva della media si associano a una probabilità minore.

“Gli eventi riproduttivi correlati a una minore esposizione agli estrogeni endogeni (prodotti naturalmente dall’organismo, ndr) sono associati a un rischio di demenza più elevato e questi risultati spiegano la differenza di vulnerabilità femminile nei confronti del rischio”, ha dichiarato Jessica Gong, epidemiologa esperta di differenze di genere al George Institute for Global Health e primo autore della pubblicazione.

Pillola e terapia ormonale sostitutiva

“Per quanto riguarda gli ormoni esogeni (assunti dall’esterno, ndr), la pillola anticoncezionale è risultata associata a un rischio più basso di demenza mentre non è stato riscontrato un collegamento tra rischio e terapia ormonale sostitutiva per l’età avanzata”.

Gli altri fattori: livello socioeconomico e stile di vita

Da anni, e anche su campioni molto ampi di popolazione, viene indagata la relazione tra demenza e livello di istruzione, vita intellettualmente e fisicamente attiva, vivacità culturale eccetera. Anche in questo studio c’è un dato che rimanda a quelle ricerche: il rischio più alto di demenza legato alla menopausa precoce è risultato più evidente nelle donne con uno status socioeconomico inferiore, che dunque, secondo gli autori, va considerato un indicatore potente di quanto la deprivazione sociale rappresenti un fattore importante per il declino cognitivo, come d’altronde, dicono, per altri aspetti della salute delle donne.

Oms: “Demenza priorità globale”

La demenza è stata definita dall’Organizzazione mondiale della sanità una priorità globale di salute. La forma più diffusa è l’Alzheimer, con il 60% circa di tutti i casi, e con le donne che corrono un rischio di ammalarsi che è circa il doppio di quello degli uomini. Visti i numeri e il peso in termini sociali, economici e umani delle demenze si capisce perché, in assenza di scoperte terapeutiche significative, chi se ne occupa si stia concentrando sulle strategie di abbattimento del rischio. E in questo senso, la capacità neuroprotettiva degli estrogeni potrebbe essere un campo utile sul quale ragionare. Ma, dicono gli stessi autori dello studio, sono necessarie ulteriori ricerche “per capire se le differenze di rischio di demenza sono associate all’esposizione agli estrogeni endogeni per tutto il corso della vita, e se la probabilità di ammalarsi potrebbe essere influenzata dall’utilizzo di estrogeni esogeni”.

Identificare le donne più a rischio

Nel frattempo, hanno però aggiunto i ricercatori, “i nostri risultati possono essere utili per identificare le donne ad alto rischio che prenderanno parte a futuri studi clinici destinati a valutare potenziali misure e trattamenti preventivi”.



www.repubblica.it 2022-06-08 05:34:00

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