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Sindromi da immunodeficienza grave: 3 bambini su 4 non vengono diagnosticati in tempo

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Accorgersi di una malattia rara è sempre un lavoro da ‘detective della medicina’ e ancor più in età pediatrica quando i segnali possono essere davvero impercettibili e difficili da individuare. Ne è un esempio quello che accade per alcune forme gravi di immunodeficienza su base genetica: un bambino su 50mila, con gli screening neonatali, ne soffre tuttavia, per ogni caso diagnosticato, tre non vengono riconosciuti in tempo e muoiono entro il primo anno di vita. Una situazione grave, per la quale è necessaria un’estensione della metodologia scientifica alla pediatria territoriale, per incrementare la sorveglianza da parte dei medici su queste forme rare. Di questo e molto altro si parlerà il 13 e 14 giugno a Napoli, in occasione del convegno nazionale della Società Italiana di Ricerca Pediatrica a cui parteciperanno specialisti provenienti dai più qualificati centri di ricerca applicata alle patologie del bambino.

Le sindromi da immunodeficienza

Le immunodeficienze primitive rappresentano un gruppo eterogeneo di malattie, per lo più monogeniche, caratterizzate da difetti di sviluppo e/o funzione del sistema immunitario. In poco più di venti anni, grazie all’avanzamento delle tecnologie di genetica e immunologia molecolare, il numero di queste malattie è passato dalle dieci note negli anni ’80 ai 416 difetti congeniti a oggi descritti. “Le sindromi da immunodeficienza sono una vera emergenza, perché la maggior parte di questi piccoli pazienti non vengono diagnosticati e vanno incontro a un esito infausto a causa del ritardo nella partenza delle terapie”, afferma Claudio Pignata, ordinario di Pediatria, responsabile del Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali presso l’Università Federico II e presidente della Società Italiana di Ricerca Pediatrica.

La difficoltà di diagnosi

Nonostante l’incremento di conoscenze degli ultimi anni e la disponibilità di tecnologie innovative, la diagnosi di queste patologie rimane ancora molto complessa soprattutto per operatori non esperti o che non abbiano accesso a una rete diagnostica integrata. “Per poter individuare e curare per tempo questi bambini – prosegue Pignata – è fondamentale il coinvolgimento diretto dei pediatri di famiglia. Abbiamo un progetto di ricerca dedicato proprio alle strategie per aumentare l’attenzione dei medici: i sintomi precoci devono essere riconosciuti, è necessario intervenire in tempi stretti per assicurare il corretto funzionamento dei farmaci ed evitare che si passi direttamente da casa alla terapia intensiva”.

Più finanziamenti pubblici per la ricerca pediatrica

Fare ricerca in pediatria è una missione difficile perché non è semplice trovare il giusto equilibrio tra la necessità di non esporre i minori, considerati una popolazione vulnerabile, ai rischi di una sperimentazione clinica e allo stesso tempo preservarli da quelli legati ad un uso di terapie su cui non ci sono dati esaustivi provenienti da studi pediatrici poiché il 50% dei farmaci commercializzati è testato su una popolazione adulta. Il fatto è che la ricerca clinica non deve essere fatta sulla popolazione pediatrica, ma con bambini, adolescenti e familiari in veste di partner attivi di iniziative che li vedono pienamente coinvolti insieme al pediatra di riferimento. “Come società scientifica – aggiunge Pignata – ci stiamo concentrando molto sulle previsioni della pediatria da oggi al 2050: nei 30 anni passati, la medicina si è trasformata radicalmente. Oggi, complici l’accelerazione del processo di conoscenza, la qualità delle cure e il numero di pazienti identificati, ci aspettiamo cambiamenti ancora maggiori, non solo dal punto di vista scientifico ma anche da quello della rete organizzativa italiana. Abbiamo un problema importante inerente al finanziamento pubblico della ricerca pediatrica, eccessivamente penalizzato rispetto ad altri ambiti della medicina”.

Un’agenzia indipendente per la revisione delle proposte

Il convegno sarà l’occasione anche per un confronto con le modalità di sovvenzione degli altri Paesi del mondo: saranno infatti presenti ospiti internazionali da Usa, Germania e Inghilterra. “Come Sirp – dichiara il presidente – proponiamo la creazione di un’agenzia indipendente che garantisca la correttezza del processo di revisione delle proposte presentate. Vorremmo che le valutazioni venissero effettuate da specialisti del settore specifico. È inoltre importante dare grande spazio ai giovani e pensare al turnover per tempo, perché la preparazione scientifica è molto lunga, richiede almeno 10 anni di studi. Per questo cerchiamo di coinvolgere e incoraggiare i ‘nuovi’ pediatri a intraprenderla. Ci piacerebbe dare il via a un programma sperimentale dedicato a chi ha interesse per la ricerca, che preveda l’inserimento di un percorso di alto profilo scientifico durante il corso di specializzazione”.

Il progetto ‘Long-Covid Kids’

Durante i due giorni di convegno, gli specialisti affronteranno anche i temi legati al Covid. “Innovazione in questo ambito significa anche guardare ai cittadini del futuro, garantire loro una buona salute e permettere che gli studi non si fermino mai”, dichiara l’Onorevole Paolo Siani, vicepresidente della commissione bicamerale Infanzia e Adolescenza e già direttore dell’Unità Operativa Complessa di Pediatria dell’ospedale Santobono-Pausilipon di Napoli. “La ricerca ha avuto un importante sviluppo dopo la pandemia, in particolare per le sindromi post Sars-CoV-2, che colpiscono anche i più piccoli. Per loro la Sirp ha ideato un progetto nazionale, il ‘long-Covid kids’. E’ un progetto di pediatria territoriale per osservare se esiste uno strascico dei sintomi dopo l’infezione e cosa comporta, ma per fare un’analisi scientificamente corretta dovremo attendere almeno un paio di anni”.

I progressi nelle terapie

Oggi i progressi scientifici consentono di curare malattie che fino a pochi anni fa erano considerate quasi senza speranza, eppure non sempre questi progressi arrivano davvero al letto dei piccoli pazienti. “Oggi sono di grande interesse le terapie a base di farmaci biologici, in grado di agire con meccanismi di medicina di precisione. Sono stati evidenziati ottimi risultati nel trattamento della dermatite atopica e di alcuni disordini autoimmuni e di malattie generiche come le sindromi di Pompe e Wilson. Per quest’ultima, le terapie sperimentali hanno cambiato completamente lo scenario”, dichiara Siani che, però, aggiunge: “I farmaci biologici costano troppo e il nostro Sistema sanitario non ha la capacità economica di sostenere queste spese. Bisogna spostare risorse per far sì che il maggior numero possibile di pazienti possa beneficiare di queste terapie innovative”.

La dieta mediterranea nel bambino

Spazio anche alla prevenzione con stili di vita sani nei bambini o meglio nelle famiglie. “Un’importante novità sono i risultati del primo studio pilota sulla dieta mediterranea applicata al bambino, che mostrano i benefici di questo tipo di alimentazione ricca di frutta e verdura anche sui più piccoli”, sottolinea Pignata. “In termini di salute, quanto accade al nostro organismo nei primi mille giorni di vita è strettamente correlato a quello che accadrà nell’intera vita. Il tipo di alimentazione osservata dalla madre durante la gravidanza  e durante l’allattamento al seno e gli alimenti che il bambino conosce con lo svezzamento sono fattori in grado di condizionare, in maniera definitiva, lo sviluppo del gusto. La dieta mediterranea già nelle fasi precoci è uno strumento formidabile per prevenire l’obesità che purtroppo interessa un numero crescente di bambini”.
 



www.repubblica.it 2022-06-10 18:16:30

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