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Tumori: seno, proteggere ossa di pazienti in terapia ormonale – Sanità

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Una su 4 fra le donne con tumore al seno ormono-dipendente subisce le conseguenze della fragilità ossea indotta dalle terapie anti-ormonali necessarie per sconfiggere il tumore e secondo un sondaggio di Europa Donna la quasi totalità (97%) delle pazienti italiane ne è a conoscenza.
    Ma solo il 58% di esse segue una dieta mirata dopo la diagnosi di tumore e solo al 55% è stata prescritta dal medico di riferimento una terapia specifica per prevenire il rischio di fratture. Sono dati che giustificano la quarta edizione di ‘Ora pOSSO’, campagna nazionale di informazione presentata oggi a Milano.
    “Sono circa 55 mila le donne che ogni anno si ammalano di tumore al seno – spiega Paolo Veronesi, Direttore del Programma di senologia chirurgica all’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) – e nella maggior parte dei casi si tratta di tumori ormono-dipendenti, per cui 8 pazienti operate su 10 ricevono terapie anti-ormonali adiuvanti, che permettono oggi una sopravvivenza a 5 anni superiore al 91%”.
    Questo da una parte è il grande risultato della ricerca oncologica, ma il rovescio della medaglia è che queste terapie, basate su farmaci inibitori dell’aromatasi, e protratte per 5 o 10 anni, “cancellano – spiega Maria Luisa Brandi, Presidente dell’Osservatorio Fratture da Fragilità (Off) – ogni residua produzione di estrogeni, sia nelle donne in età fertile che in quelle in menopausa. E questo causa una situazione di fragilità ossea con un aumento del rischio di fratture”. Può capitare quindi che risolto un problema importante come quello del tumore, per queste pazienti se ne possa aprire un altro, quello del rischio di fratture, altrettanto grave.
    “Per cui – continua Brandi – è indispensabile che quando una donna deve seguire una terapia anti-ormonale adiuvante cronica, è indispensabile che venga anche impostata una terapia di prevenzione delle fratture, cosa che in troppi casi non avviene”. Eppure, “ci sono armi farmacologiche come gli aminobifosfonati e più di recente un farmaco biologico (romosozumab, autorizzato dall’Aifa ma in fascia C) che blocca il riassorbimento osseo (può ridurre il rischio di fratture del 50-70%), somministrato per via sottocutanea una volta ogni 6 mesi e senza effetti collaterali”.
    Si tratta di terapie che devono sempre venire assunte in combinazione con un adeguato apporto di calcio e vitamina D, in quantità decise dal medico. Ma anche accompagnate da un corretto stile di vita: attività fisica e dieta equilibrata, come sottolinea Lucilla Titta, nutrizionista coordinatrice del progetto SmartFood promosso dall’Ieo.
   

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