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Malattie infiammatorie croniche intestinali, occhio ai sintomi psicologici

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Si chiamano malattie infiammatorie croniche intestinali, perché colpiscono l’intestino. Ma colite ulcerosa e malattia di Crohn non colpiscono solo l’intestino, come dimostra la lunga lista di sintomi extraintestinali che possono interessare, per esempio, le articolazioni e gli occhi.

L’impatto dell’infiammazione può spingersi infatti ben oltre nel corpo, interessando altri distretti, anche il cervello, contribuendo spesso a generare stati di ansia e depressione. Che possono ripercuotersi anche sull’efficacia dei trattamenti.

A ricordarlo sono stati gli esperti riuniti nel corso dell’evento dedicato alle malattie infiammatorie croniche all’Humanitas University, promosso da Galápagos Biopharma Italy insieme all’IRCCS Istituto Clinico Humanitas. 

Le malattie infiammatorie croniche intestinali

Le malattie infiammatorie croniche intestinali (acronimo MICI) si stima che colpiscano in Italia circa 250 mila persone, per tutta la vita come suggerisce il nome, con andamento però spesso altalenante. A fasi acute delle malattie – accompagnate da dolori addominali, febbri, diarrea e frequenti corse al bagno, sangue nelle feci – si alternano fasi di relativo benessere, più o meno duraturo nei pazienti, tendenzialmente giovani quando scoprono la malattia. Pazienti che, non di rado, soffrono anche di ansia e depressione. Quanto queste sono conseguenza della malattie o quanto vanno considerati come sintomi, come altre manifestazioni extraintestinali delle malattie?

Focus sull’asse intestino-cervello

È partendo da questa domanda, e inseguendo il filone delle ricerche sull’asse intestino-cervello, che il team di Maria Rescigno, a capo Laboratorio di Immunologia delle Mucose e Microbiota di Humanitas e Prorettore Vicario con delega alla Ricerca di Humanitas University, ha analizzato se e in che modo l’infiammazione a livello dell’intestino riesce a propagarsi nel cervello.

Lo scorso autunno, in uno studio pubblicato su Science, insieme al suo team di ricercatori aveva dimostrato che effettivamente è così, identificando anche come avvenisse la propagazione dell’infiammazione: “A livello del cervello abbiamo identificato una nuova barriera vascolare nel plesso corioideo, una sorta di cancello che normalmente è aperto e permette un dialogo tra il cervello e il nostro organismo – ha spiegato Rescigno – tale cancello si chiude di fronte al pericolo di una forte infiammazione intestinale per impedire il suo propagarsi al cervello. Quando il dialogo tra cervello e organismo si arresta, il cervello si isola e va incontro a fenomeni di ansia e depressione”.

La chiusura di questo cancello, attraverso cui in condizioni normali passano anche sostanze nutritive, spiegano gli esperti, sarebbe correlata all’alterazione dell’integrità di un’altra barriera, quella vascolare a livello dell’intestino. Sarebbe questa permeabilità intestinale a favorire il passaggio batteri del microbiota intestinale e di molecole che possono arrivare fino al cervello, candidando questa via di comunicazione intestino-cervello a possibile target nello sviluppo di nuovi trattamenti. Anche perché gli stati di ansia e depressione non solo peggiorano la qualità di vita dei pazienti, ma possono influenzare anche la loro risposta ai trattamenti.

L’importanza del supporto psicologico

Lo ha spiegato nel corso dell’evento Antonino Spinelli, Responsabile Unità Operativa Chirurgia del Colon e del Retto di Humanitas, co-direttore dell’IBD Center di Humanitas e docente di Humanitas University, citando i risultati di una ricerca recente: “Abbiamo appena pubblicato sul British Journal of Surgery uno studio condotto insieme all’Università di Barcellona, in cui osserviamo come i pazienti che hanno degli score di ansia e depressione maggiore prima dell’intervento chirurgico hanno outcome peggiori. È una correlazione forte tra la dimensione psicologica e una dimensione più strettamente biologica con implicazioni importanti. Nelle malattie infiammatorie infatti abbiamo una finestra temporale in cui operiamo, e possiamo migliorare questi aspetti e sperare così di ottimizzare l’outcome post-operatorio”.  



www.repubblica.it 2022-07-07 14:29:14

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