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Valvola aortica (e non solo), come scegliere l’intervento su misura

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A volte si stringe, la valvola aortica, quella che aprendosi e chiudendosi fa passare regolarmente il sangue dal ventricolo sinistro fino all’arteria aorta che dovrà poi distribuirlo in tutto il corpo. Questa valvola infatti può perdere la sua elasticità e tendere a calcificare, creando un’ostruzione al passaggio del sangue, con conseguente diminuzione di aspettativa e qualità di vita. Si parla di stenosi della valvola aortica, patologia la cui incidenza continua ad aumentare, anche per l’invecchiamento della popolazione. Questa condizione rappresenta una sfida per la chirurgia cardiaca del futuro, chiamata a individuare tecniche e strategie terapeutiche mirate.

La chirurgia delle valvole cardiache ha già raggiunto uno standard qualitativo molto elevato ed è teatro di significative innovazioni. La Tavi, acronimo che sta per “impianto percutaneo transcatetere di valvola aortica”, permette per esempio di impiantare una nuova valvola senza la necessità di aprire il torace, sfruttando come via d’accesso un’arteria periferica (via percutanea). La metodica ha ormai più di dieci anni e sono disponibili dati di confronto con l’intervento chirurgico standard. Il problema è scegliere la giusta soluzione per ogni paziente. Sono in corso studi scientifici, come Outstanding Italy della Rete Cardiologica, che valutano quale tipologia di intervento sia in grado di migliorare non solo la sopravvivenza, ma anche la qualità della vita, soprattutto nella popolazione anziana in Italia.

Come si sceglie il trattamento su misura

L’età è senza dubbio uno dei principali fattori che guida la scelta tra i due approcci. Come spiega Lorenzo Menicanti, direttore dell’area chirurgica cuore-adulto all’IRCCS policlinico San Donato di Milano e presidente della Rete Cardiologica IRCCS: “Se devo operare un paziente anziano, di ottant’anni, che è sicuramente più fragile e con molti fattori di rischio, la mia prima scelta sarà l’approccio mininvasivo. Se invece ho un paziente di cinquant’anni, con un’aspettativa di vita normale, probabilmente la terapia chirurgica standard è la soluzione migliore. Non solo, con la Tavi, la valvola che viene impiantata è biologica, cioè di derivazione animale, mentre con la chirurgia standard posso scegliere tra una valvola biologica oppure meccanica, con materiali di carbonio”. La valvola biologica ha una durata limitata nel tempo (circa 10-15 anni) e va quindi sostituita, quella meccanica non ha questo problema, ma rende necessaria l’assunzione di un anticoagulante a vita, per evitare un possibile rischio di ictus ischemico. “I dati pubblicati dai registri clinici – segnala Menicanti – dimostrano comunque che i pazienti intorno ai 55 anni o con età inferiore si avvantaggiano della valvola meccanica, mentre al di sopra di questa età le due valvole si equivalgono. Il tipo di intervento va, quindi, scelto sulla base di diversi fattori che includono anche le condizioni in generale. In pazienti molto complessi, con un’aterosclerosi importante, la via femorale potrebbe non essere percorribile; si può ricorrere a vie alternative (radiale del polso o brachiale del braccio) ma possono essere meno efficaci. Quindi, in entrambi i casi, chirurgia tradizionale o mininvasiva, va considerata e consigliata al paziente la procedura che più aumenta l’aspettativa di vita e ne migliora la qualità”.

Cosa dice la scienza

Trattamento su misura, quindi, è la parola che guida l’esperto. Con la Tavi ad esempio viene impiantata una nuova valvola, che “schiaccia” quella nativa e ne prende il posto. Si tratta di una tecnica ampiamente studiata e che si è rivelata efficace. “All’interno del catetere, che passa attraverso l’arteria femorale ed entra nella valvola malata, vi è una valvola che viene estrusa – aggiunge  Menicanti. – Il fatto di comprimere la valvola natia può portare a tre scenari: il primo è la non perfetta adesione della nuova valvola contro la valvola nativa e quindi la possibilità di un certo reflusso. La seconda possibilità è che, comprimendo la valvola nativa, il tessuto di conduzione, cioè quello che conduce l’impulso tra gli atri e ventricoli e dà il ritmo al cuore stesso, possa essere danneggiato e si rende allora necessario l’impianto di un pacemaker. Nel terzo caso la compressione della valvola nativa libera dei frammenti della valvola stessa che potrebbero creare delle embolie (ictus cerebrale o in altri distretti). Queste complicanze sono presenti anche in chirurgia tradizionale. Per esempio, secondo i dati pubblicati dai grandi registri clinici internazionali, la possibilità di andare incontro ad un ictus con l’approccio chirurgico standard è intorno allo 0,9%, con la Tavi è intorno al 2,5%, quindi è una differenza minima. La necessità di pacemaker è intorno al 3% nel primo caso, mentre con la Tavi è intorno al 7,5%. Entrambe le procedure hanno un enorme valore al di là delle differenze; occorre capire qual è l’approccio migliore per il paziente”.

E non va dimenticato che  lo sviluppo clinico e ingegneristico della circolazione extracorporea, necessaria nella chirurgia tradizionale, ha fatto enormi progressi e perseguito sempre di più la miniaturizzazione dei circuiti, vale a dire la riduzione della lunghezza totale del percorso artificiale che il sangue è obbligato a compiere. Assicura al paziente una funziona cardio-respiratoria il più vicino possibile alla fisiologia normale e riduce al minimo il contatto del sangue del paziente con elementi esterni come l’aria, a vantaggio di una maggiore sicurezza.

Cosa ci attende domani

“Le procedure transcatetere aumenteranno nel futuro, come peraltro si è visto per le angioplastiche coronariche per la cura delle stenosi coronariche – conclude Menicanti. – A mano a mano che continuiamo ad acquisire dati, aggiusteremo però sempre meglio il tiro, migliorando la nostra esperienza sul tipo di paziente che più si possa avvantaggiare delle diverse metodiche. Un altro campo dove ci aspettiamo delle novità è quello delle valvole, per cui non dovrebbe essere più necessaria l’assunzione di anticoagulanti. Ci sono degli studi in corso, e le valvole, anziché essere realizzate con materiali di carbonio o di derivati di metalli, potrebbero avere per esempio delle plastiche. Saranno quindi delle valvole che, in teoria, non degenerano come quelle biologiche, ma che si comportano come se lo fossero”.



www.repubblica.it 2022-07-15 05:26:49

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