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Tumore al seno, a chi chiedere se mi stanno curando nel modo giusto?

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“Per il mio tumore, del tipo triplo negativo e con mutazione BRCA1, dopo la mastectomia e dopo le recidive cutanee locali, mi è stata proposta la chemioterapia. Ho però letto di farmaci più mirati in base al proprio sottotipo istologico. Dove e come è possibile sottoporsi a test genomici per stabilire la migliore terapia possibile?” (P.T.)

Cara Lettrice, 

Probabilmente tutti si trovano a chiedersi, almeno una volta nella vita, se una diagnosi sia corretta e se siano curati nel modo giusto: con strumenti aggiornati e con le terapie più innovative. La domanda che lei pone è molto complessa, perché in realtà le informazioni che chiede, e che evidentemente non ha trovato altrove, riguardano cose diverse le une dalle altre. Ma proveremo a sbrogliare la matassa e a rispondere in modo che possa essere utile anche ad altre lettrici di Salute Seno. 

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Per chi sono i test genomici

Partiamo dai test genomici, chiamati anche test di profilazione genomica. Prima di tutto va detto che sono indicati solo in pazienti con il tipo di tumore al seno ormono-sensibile in stadio iniziale, mentre non lo sono per le pazienti che, come nel suo caso, hanno un tumore triplo negativo (che quindi non presentano i recettori per gli ormoni). Nelle pazienti con tumore ormono-sensibile, dicevamo, in casi selezionati e dopo la chirurgia, l’oncologo può avvalersi dei test genomici, identificando meglio chi può evitare la chemioterapia nei casi dubbi.

I test genomici del tumore al seno, peraltro, rientrano da alcuni mesi nell’ambito dell’offerta del Sistema Sanitario Nazionale, per cui non sono più un privilegio rivolto alle pazienti con maggiori risorse economiche, e qualsiasi centro dovrebbe poterli offrire, qualora siano indicati. Questi strumenti, ad ogni modo, non sono utili nelle fasi di malattia non più iniziali (come nel suo caso, in cui si è verificata una progressione dopo la mastectomia).

Poi ci sono i test genetici

Il profilo genomico del tumore al seno non va confuso con il test genetico germinale, proposto a persone selezionate sulla base di precise caratteristiche, ed effettuato solitamente attraverso un prelievo di sangue. Il test genetico identifica le mutazioni BRCA1 (come nel suo caso), BRCA2 ed altre. Le varianti “difettose” di questi geni determinano un alto rischio di ammalarsi di diversi tumori e, per chi ha già sviluppato la malattia, forniscono anche un importante orientamento per le opzioni terapeutiche, sia nella chirurgia sia nella scelta dei farmaci più adeguati. L’istologia del tumore e la presenza della mutazione, insieme ad altre caratteristiche della malattia e della paziente, guidano il percorso di cura.

Perché le informazioni sulla malattia non bastano per una “seconda opinione”

Qui credo sia importante fare una considerazione. Sempre più spesso, come conseguenza della velocità con cui social media e testate online divulgano le informazioni, le pazienti si chiedono – e chiedono ai medici attraverso gli stessi strumenti virtuali – una sorta di “seconda opinione”, nel dubbio che qualche possibilità di cura molto recente non sia stata considerata. Non è facile spiegare che questa modalità è inadeguata rispetto alle aspettative e allo strumento utilizzato. Un medico, infatti, non può dare un’opinione basandosi su informazioni, solitamente ben lontane dall’essere esaustive, fornite in modo astratto e in assenza dello strumento indispensabile che è la relazione medico-paziente, e che si crea con la visita medica. Per questo diciamo che “si cura il malato, non la malattia”. Questo vale soprattutto oggi, in cui ogni singolo tumore presenta tante e tali variabili da aver cambiato l’approccio di cura da “standardizzato” a “personalizzato”.

Come orientarsi?

Il mondo delle strategie terapeutiche per il tumore al seno, nelle diverse fasi di malattia, si è recentemente arricchito sia di nuovi approcci, sia di trattamenti innovativi come i farmaci biologici, l’immunoterapia, le terapie a bersaglio molecolare – indicati per esempio per le mutazioni genetiche come BRCA1. In alcuni casi, inoltre, la donna può accedere a nuove prospettive di cura partecipando a uno studio clinico. Viene da chiedersi come possa una paziente orientarsi in questa giungla di possibilità di trattamento. Bene, il primo passo – va ricordato perché non è ancora scontato nella pratica clinica – è rivolgersi al luogo di cura “giusto”: la breast unit o Centro di Senologia, dove alla paziente con tumore al seno può essere garantito un approccio multidisciplinare integrato e costantemente aggiornato, fornito da un team di specialisti dedicati alla patologia: dalla diagnosi al trattamento chirurgico e medico, dall’esame istologico al recupero psicofisico. Nelle breast unit, solitamente, è anche presente un’associazione di pazienti a cui rivolgersi per ogni tipo di sostegno.

Rivolgetevi alle associazioni 

Poi ci sono le “Associazioni Madri”, come Europa donna Italia (EDI), che agiscono a livello nazionale da “avvocato” delle pazienti e che garantiscono alle donne una serie di supporti anche online, tra i quali strumenti di informazione molto chiari e aggiornati, attraverso il loro sito. Per chi si trova in situazioni cliniche specifiche ricordiamo anche associazioni come aBRCAdabra e Noi Ci Siamo, rispettivamente per le donne con mutazione genetica BRCA1, BRCA2 (o altre mutazioni rare) e per donne con tumore al seno in fase metastatica, che offrono non solo auto-aiuto, ma anche aggiornamenti costanti.

Uno zaino di risorse, per non viaggiare sole

Essere nel posto giusto e avere i riferimenti giusti (sia medici sia di associazioni) pone le premesse migliori per affrontare un percorso complesso, senza mai rimanere da sole con le proprie domande sospese. La presa in carico globale migliora la prognosi, riduce l’ansia e consente alla donna di sciogliere ogni dubbio in merito al percorso proposto. Perché ogni passo può e deve essere spiegato con chiarezza ed empatia dal team specialistico, ogni dubbio può e deve essere accolto con risposte precise, ogni supporto può e deve essere messo in atto dall’equipe specialistica attraverso il medico di riferimento, l’infermiera di senologia/case manager, con la presenza dello psiconcologo e il sostegno di donne che mettono la loro esperienza e impegno a disposizione delle “sorelle di malattia”. Trovarsi nel luogo adeguato con i migliori strumenti in mano credo rappresenti una sorta di zaino pieno di risorse che una donna può portare con sé durante un percorso di cura non facile, ma alleggerito almeno da dubbi evitabili o dalla sensazione di non essere al centro di un percorso di trattamento e di supporto davvero personalizzato.

*Alberta Ferrari è chirurga senologa della Breast Unit e Responsabile Percorso Tumori Ereditari della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, ed è coordinatrice del comitato scientifico dell’associazione aBRCAdaBRA Onlus.



www.repubblica.it 2022-07-22 09:58:17

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