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Integratori contro il cancro: uno studio ha testato l’amido resistente

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Davvero un integratore alimentare può aiutare a prevenire il cancro? Davvero una capsula colorata, che non è un farmaco, può proteggere da una malattia dal nome che ancora oggi molti evitano di pronunciare? A suggerire di sì sono i risultati di uno studio internazionale, chiamato CAPP2, che ha coinvolto quasi 1000 pazienti di oltre 40 centri distribuiti del mondo. Tutti avevano la sindrome di Lynch, una condizione genetica ereditaria che predispone a diversi tumori, primo fra tutti il carcinoma del colon-retto.

Lo studio

Si tratta di uno studio clinico vero e proprio (randomizzato a doppio cieco), pubblicato su Cancer Prevention Research, una rivista dell’American Association for Cancer Research, su un integratore a base di amido resistente. In seguito ad un’assunzione regolare di due anni, sebbene l’incidenza dei tumori del colon non si sia ridotta nel campione, si sono più che dimezzati i tumori a carico di altri organi, soprattutto del tratto gastrointestinale superiore: dell’esofago, dello stomaco, delle vie biliari, del pancreas e del duodeno. L’effetto protettivo, secondo la ricerca, è durato per 10 anni a partire dall’interruzione dell’assunzione del supplemento. “Abbiamo scoperto che l’amido resistente riduce una serie di tumori di oltre il 60%”, ha detto John Mathers, professore di Nutrizione umana all’Università di Newcastle, co-autore del lavoro. “L’effetto – ha sottolineato – è stato più evidente nel tratto digerente superiore: un dato importante, perché proprio i tumori del tratto alto gastrointestinale sono difficili da diagnosticare e spesso sfuggono alle diagnosi precoci”.

Come è stato condotto

Tra il 1999 e il 2005, i partecipanti di CAPP hanno assunto amido resistente in polvere per due anni, oppure aspirina oppure placebo. Alla fine della fase di trattamento, non erano emerse differenze tra coloro che avevano assunto amido resistente o aspirina e coloro che non l’avevano fatto. Tuttavia, i ricercatori avevano previsto la possibilità di un effetto più a lungo termine e progettato lo studio per un follow-up di 10 anni (e per alcuni partecipanti anche di 20 anni). E in effetti nel corso del periodo di controllo tra i 463 partecipanti che avevano assunto l’amido resistente ci sono stati solo 5 nuovi casi di tumori del tratto gastrointestinale superiore, contro i 21 tra i 455 che avevano assunto il placebo.

 

Dove è contenuto l’amido resistente

L’amido resistente (o RS, dall’inglese resistant starch), che si chiama anche fibra fermentante, rappresenta quella frazione di amido che resiste alla digestione ad opera degli enzimi dell’intestino tenue e che, una volta raggiunto l’intestino crasso, fermenta. Si trova naturalmente in molti alimenti, per esempio nelle patate e nei legumi (fagioli, lenticchie, ceci), nel riso bianco, integrale, basmati, nell’avena, nel frumento e nel mais e nelle banane ancora un po’ verdi. Prima che le banane diventino eccessivamente morbide, infatti, l’amido di questi frutti resiste all’azione degli enzimi digestivi e quindi raggiunge l’intestino crasso nella sua forma intatta: una volta lì, cambierebbe la composizione delle popolazioni di batteri residenti, a favore, neanche a dirlo, di quelli benefici. Oltre che dai cibi, l’amido resistente può essere assunto come integratore, come è stato nello studio di cui parliamo, i cui autori ne hanno in particolare valutato l’effetto della dose che corrisponde a una banana non matura al giorno. Il che però, è bene sottolinearlo, non significa che è consigliato mangiare tale alimento in questa quantità.

 

L’ipotesi del meccanismo

Per i ricercatori che hanno firmato la pubblicazione, l’amido resistente potrebbe aiutare a ridurre il rischio di cancro modificando il metabolismo dei batteri degli acidi biliari: secondo questa ipotesi, ridurrebbe la quantità degli acidi biliari più capaci di danneggiare il Dna, così contribuendo, in ultimo, a un abbattimento della probabilità di andare incontro a malattie oncologiche. Detto ciò, gli stessi autori hanno affermato che si tratta di un’ipotesi, e che c’è bisogno di ulteriori ricerche perché venga confermata.

Gli studi precedenti sull’aspirina

“Quando abbiamo iniziato i nostri studi, cioè oltre 20 anni fa – ha detto John Burn, professore di genetica clinica all’Università di Newcastle e del Newcastle Hospitals NHS Foundation Trust, anche lui co-autore dello studio – pensavamo che le persone con una predisposizione genetica al cancro del colon (i pazienti con sindrome di Lynch, ndr.) ci potessero aiutare a capire se fosse possibile abbattere il rischio oncologico con l’aspirina o con amido resistente”. A proposito di aspirina, un lavoro precedente pubblicato su Lancet sempre nell’ambito di COPP2 ha indicato che questo farmaco, molto comune e molto economico, ha ridotto del 50% il tumore dell’intestino crasso. “I pazienti con sindrome di Lynch – ha ripreso Burn – sono ad alto rischio in quanto hanno maggiori probabilità di sviluppare tumori, quindi è di importanza vitale l’aver scoperto che l’aspirina può abbattere della metà il rischio di cancro dell’intestino crasso”, Infatti ha ricordato Burn, “sulla base del nostro studio il NICE (il National Institute for Health and Care Excellence del Regno Unito, ndr.), per le persone ad alto rischio genetico di cancro, ora raccomanda l’aspirina”.

Prossimo step: CAPP3

I ricercatori sono ora impegnati su un nuovo studio internazionale, il CaPP3, che coinvolge 1.800 persone con sindrome di Lynch per capire se possono essere utilizzate dosi di aspirina più basse e più sicure per aiutare a ridurre il rischio di cancro. La ricerca è finanziata da Cancer Research UK, Commissione Europea, Medical Research Council e National Institute for Health Research.



www.repubblica.it 2022-07-29 12:04:41

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