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Tumore colon-retto, studio italiano: bloccare la riparazione del Dna uccide le cellul…

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DDR (dall’inglese DNA Damage Response): tre lettere che stanno ad indicare il complesso meccanismo molecolare di risposta ai danni del Dna, un ambito su cui la ricerca scientifica si sta concentrando da anni per sviluppare nuove strategie terapeutiche che possano essere efficaci contro alcuni tumori solidi. Ora una nuova ricerca italiana condotta dall’Ircss di Candiolo e dall’Università di Torino, appena pubblicata sulla rivista Clinical Cancer Research dell’American Academy of Cancer Research, mostra l’efficacia di questo approccio nel tumore del colonretto. In particolare, i ricercatori hanno visto che in un caso su tre i tumori del colon-retto, anche quelli più aggressivi e che non rispondono alle terapie a bersaglio molecolare, potrebbero trovare beneficio dall’impiego di farmaci mirati ai sistemi di risposta al danno del Dna che nelle cellule tumorali in parte risultano difettosi rendendo i sistemi ‘superstiti’ essenziali per la sopravvivenza del cancro.

La strategia del DDR

La vita delle nostre cellule non è infinita. Soltanto quelle tumorali conquistano l’immortalità proliferando senza controllo. Le cellule ‘normali’ vanno incontro ad un certo punto al processo di senescenza cellulare che arresta ogni evento proliferativo, un meccanismo che rappresenta un’arma contro lo sviluppo di tumori, proprio per la sua capacità intrinseca di bloccare la crescita delle cellule. Per capire cosa innesca questo processo durante l’invecchiamento o quando la cellula è a rischio cancro, da anni si studia quella che viene definita la ‘Risposta al danno al DNA’ nel tentativo di decifrare i segnali molecolari che attivano il processo di senescenza cellulare e le sue dinamiche e capire in che modo la senescenza cellulare blocca lo sviluppo tumorale.

La ricerca dell’Irccs di Candiolo

I ricercatori dell’Irccs di Candiolo hanno condotto lo studio su ben 112 linee cellulari di tumori del colon-retto differenti per il profilo genomico. I risultati, confermati su organoidi derivati da pazienti, indicano che farmaci mirati a proteine coinvolte nei sistemi di riparazione del Dna potrebbero diventare una concreta risposta per molti pazienti a oggi senza opportunità terapeutiche: “Ogni giorno siamo esposti a sostanze chimiche o agenti fisici, come il benzene o i raggi Uv, che possono danneggiare il Dna: queste lesioni vengono continuamente risolte senza conseguenze per le normali funzioni cellulari grazie a un complesso sistema di riparazione del Dna”, spiega Sabrina Arena, Irccs Candiolo e Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino, autrice ed ideatrice dello studio. “Questo processo è ancora più importante nei tumori, dove alcuni di questi sistemi di riparazione del Dna sono difettosi ed è perciò indispensabile che quelli ancora funzionanti possano portare avanti la loro attività per permettere al tumore di ‘sopravvivere’. Questi sistemi conferiscono ai tumori una maggiore aggressività ma si possono rivelare un ‘tallone d’Achille’ e un ottimo bersaglio molecolare, perché se vengono ‘zittiti’ le cellule tumorali soccombono ai danni al Dna”.

Un biomarcatore composito

Principi attivi di questo tipo sono già in fase I-III di sperimentazione clinica. Anche per questo motivo, secondo gli autori sarebbe opportuno ipotizzare l’uso di un ‘biomarcatore composito’, che includa la valutazione di alcuni di questi possibili target terapeutici, così da stratificare più razionalmente i pazienti con tumore al colon-retto e identificare quelli che avrebbero la maggiore probabilità di trarre un beneficio clinico dall’uso dei nuovi farmaci mirati ai sistemi coinvolti nella riparazione del danno al Dna. Gli inibitori Parp sono farmaci che colpiscono questi sistemi e sono già utilizzati in clinica per tumori alla mammella e all’ovaio; oggi altri farmaci di nuova generazione inibiscono altre componenti del sistema di riparazione del Dna e potrebbero perciò diventare un’opportunità preziosa anche nel tumore al colon-retto metastatico che non risponde ad altre terapie a bersaglio molecolare.

I risultati

La ricerca, realizzata grazie al contributo della Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro (Fprc) e dell’Associazione Italiana per Ricerca e la cura del cancro (Airc), ha perciò avuto l’obiettivo di capire se i farmaci di nuova generazione possano essere utili in tumori per i quali a oggi non esistono opportunità terapeutiche efficaci. “Abbiamo effettuato uno screening farmacologico utilizzando principi attivi mirati a proteine coinvolte nei sistemi di riparazione del Dna, alcuni già in sperimentazione clinica in fase I-III, in 112 modelli preclinici di tumore del colon-retto differenti per profilo genetico, che includevano linee cellulari e organoidi realizzati a partire da campioni tumorali di pazienti”, spiega Alberto Bardelli, Irccs Candiolo, Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino, e coautore dello studio. “I dati mostrano che circa il 30% dei casi, inclusi quelli refrattari alle attuali terapie, potrebbe rispondere ad almeno uno di questi farmaci di nuova generazione in grado di inibire la funzione di diverse proteine coinvolte nella riparazione del danno del Dna. È importante sviluppare nuove metodologie diagnostiche che consentano di identificare chi potrebbe beneficiare di questo tipo di terapie, per le quali sono già in corso studi clinici per dimostrarne la reale efficacia sui pazienti: un biomarcatore che valuti i diversi bersagli possibili potrebbe aiutare a stratificare il rischio e individuare i candidati che potrebbero rispondere meglio al trattamento. La strada è ancora lunga, ma questi risultati pongono le basi scientifiche e sperimentali per nuove e più efficaci terapie da applicare in futuro anche ad altri tipi di tumore”.

 



www.repubblica.it 2022-08-08 08:50:50

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